sabato 25 giugno 2016

SANGUE AMARO: Puntata #4





(Nell'indice potrete trovare il link alle Puntate #1, #2 e #3)

PUNTATA #4



«Non. Un. Solo. Passo.»
Gli occhi di Greta si spalancarono e il colore le abbandonò il viso.
Conoscevo le sue intenzioni ancora prima che guardasse la porta alle mie spalle. Era riuscita a confessarmi le sue speranze e ora desiderava solo scappare per leccarsi le ferite da sola. Lontano da me.
Non potevo permetterle di andarsene. Non ora.
Scattò verso destra. Mi spostai velocemente e la afferrai per la vita.
Boccheggiò e si aggrappò al mio braccio, mentre il suo corpo si piegava in avanti per la forza dell’impatto.
Esalò un rantolo, la bocca aperta in cerca di aria.
Le posai una mano su un fianco, così da tenerla ferma, e la aiutai a mettersi diritta.
Il suo petto si sollevava freneticamente. Il mio era immobile da quando era entrata in casa mia. Tutto si era fermato in me, persino il mio cuore.
«Lasciami, Antonio!»
L’urlo suonò debole, ma la sua disperazione mi colpì come uno schiaffo.
Le presi il volto tra le mani, premendo sulle guance perché mi guardasse negli occhi.
«Ti ho detto di non muoverti.»
Avevo bisogno di tempo per trovare le parole adatte, avevo bisogno che restasse al mio fianco.
Greta provò a scuotere la testa per liberarsi della mia presa e mi conficcò le unghie nei polsi. Il dolore non riuscì a farmi aprire le dita.
Chissà se si era accorta che tremavo.
«Voglio andare via» ansimò.
Non voleva crollare davanti a me.
«No.»
Il mio era un rifiuto. Una preghiera.
Si dibatté con violenza, accompagnando ogni strattone con versi di impotenza che mi graffiarono le orecchie.
Le spostai le mani sulle spalle e la strinsi contro di me, cercando di bloccare i suoi movimenti. Rabbrividì ma non si arrese, alzò i palmi e li premette sul mio torace per farmi arretrare.
«Guardami!»
Se avesse smesso di respingermi, avrebbe sentito quanto ero addolorato.  Ero stato un codardo.
Uno strattone più forte, un singulto.
Le sollevai il mento. Serrai le mascelle per resistere al tormento delle sue lacrime.
Dio, avevo bisogno della sua bocca!
Solo per un attimo.
Spensi i suoi lamenti con un bacio.
I suoi denti affondarono nel mio labbro inferiore e sulla lingua avvertii il sapore del sangue.
«Greta. Basta.»
Guardami, ti prego.
Il suo singhiozzo mi spezzò il cuore.
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La avvolsi nelle braccia, tenendola contro di me. Me lo lasciò fare.
Strinsi le palpebre quando il suo primo pugno mi raggiunse lo stomaco.
L’abbracciai più forte quando iniziò a piangere.
La cullai mentre la sua determinazione lasciava il posto al dolore.
Quello che le avevo provocato lasciandola senza una parola, quando ancora una volta non le avevo dato fiducia.
Si dimenò, calciò. Attutii i colpi, sapendo di meritarli. Tutti.
Aspettai che il pianto la esaurisse e rimanesse solo la stanchezza.
Le gambe di Greta cedettero.
Mi abbassai e le passai un braccio sotto le ginocchia. La portai nella mia stanza e la adagiai sulle coperte.
«Non servirà a niente» si lamentò, il tono straziato.
Mi stesi su di lei, il viso all’altezza del suo. La accarezzai all’attaccatura dei capelli. Volevo consolarla, rassicurarla. Volevo confortare me stesso perché la stavo perdendo e non potevo sopportarlo.
Greta avrebbe affrontato ogni difficoltà con me.
Io ero stato troppo vigliacco per essere felice con lei.
Le lacrime le bagnarono le tempie, si raccolsero nei suoi capelli.
Nella penombra riuscivo a vedere quasi tutto. Anche ciò che non volevo.
«Dopo» dissi, la voce roca.
Dovevo riuscire a strappare via da me l’orgoglio e la diffidenza per darle ciò che voleva, ciò che meritava. Era importante.
Insinuai le dita nei suoi capelli e tirai leggermente.
Greta aprì gli occhi arrossati e io appoggiai la fronte alla sua. Pregai che capisse. Non ero capace di raccontarle di me, di ciò che provavo.
Per lei l’avrei fatto, giurai a me stesso. Per Greta. Per la mia donna.
Ma non ora.
«Ti dirò tutto» le promisi. «Dopo.»
Ora avevo bisogno di farla mia, di vederla abbandonarsi e guardarmi con la fiducia che mi aveva concesso fino a qualche ora prima, quando non avevo ancora rovinato tutto.
Quando avevo la sua stima e la sua devozione.
Guardami davvero.
Le sfuggì un solo singhiozzo, poi sentii le sue braccia circondarmi la vita.
Il sostegno dei gomiti venne meno e crollai su di lei, il viso nascosto nel suo collo. Il sollievo mi privò di ogni energia.
«Dopo» sussurrai ancora e ancora, in una litania che avrebbe dovuto convincere me, più che lei.
Ero pronto?
Non avevo scelta.
Non potevo più incolparla di aver agito con leggerezza. Aveva combattuto per me e il suo coraggio era un dono che non potevo rifiutare.
Nessuna discussione sarebbe stata sterile... ci saremmo arricchiti.
Volevo il futuro di cui mi aveva parlato.
Volevo lei.
«Greta…?»
Ci provai, ma non fui capace di dar voce alla mia richiesta d’aiuto. Le corde vocali non collaborarono, anche se il mio cuore stava urlando.
Greta capì.
Mi sfiorò le labbra con le sue.
Era quanto bastava per darmi ciò di cui avevo bisogno.
Il permesso. L’assoluzione. Il perdono.
Le presi il viso tra le mani. Lo tenni fermo con delicatezza, come se potesse rompersi alla minima pressione, e le baciai la fronte, il naso, gli occhi, la bocca morbida e dischiusa, aperta per me, per tutto ciò che le avrei dato.
Assaporai il gusto salato delle lacrime che non smettevano di rigarle le guance, questa volta per l’emozione, per la dolcezza di quel momento che avrei ricordato per sempre.
«Smettila, ti prego» pregai, perché non sopportavo più i suoi respiri spezzati. «Va tutto bene, ora.»
Le mie parole provocarono nuovi singhiozzi e le braccia di Greta mi circondarono il collo.
«Nun chiagnere, piccerè» sussurrai, con il dispiacere che mi strozzava la voce.
«Ora smetto» mi promise, ma non riuscì a trattenere un nuovo singulto.
La aiutai a mettersi seduta per consentirle di prendere fiato e la guardai per un tempo interminabile.
Era bella, anche con gli occhi pesti e il naso rosso.
Avrei potuto contemplarla per ore senza stancarmi.
Ho bisogno di toccarla.
Le sfiorai la gola con le nocche. La sua pelle era liscia come velluto.
Con l’indice tracciai il profilo della scollatura del suo top, poi aprii il palmo sul suo petto, sopra la rotondità invitante del seno.
Greta posò una mano sulla mia e me la tenne ferma, per consentirmi di sentire, di capire.
Il suo cuore batteva forte.
Batteva per me.
La attirai per un bacio dolce e insieme violento. La tenni ferma per la nuca e inclinai la testa per immergere la lingua ancora più in profondità nella sua bocca, per cercare e trovare la sua in un duello che mi riempì di sollievo e di passione.
Più contatto.
La liberai dal giacchetto primaverile. La pelle delle sue braccia era increspata da brividi.
Indugiai solo un attimo, poi le tolsi la maglietta.
Le dita di Greta corsero all’orlo della mia T-Shirt. Me la sollevò, staccando le labbra dalle mie solo per sfilarmela dalla testa.
I suoi movimenti erano nervosi, come se temesse che quel momento finisse, che ci ripensassi.
Le passai un braccio intorno alla vita e la feci sedere sul mio grembo.
Con l’altra mano accarezzai il suo stomaco piatto, modellai la curva dei seni pieni, gli avvallamenti disegnati dalle costole.
Ogni tocco le strappò un sospiro, un gemito, un’invocazione di accelerare il ritmo, di darle tutto.
«Lascia che ti guardi» mormorai. La voce mi uscì soffocata e cavernosa.
 Mi sforzai di imprimere ai miei gesti una calma che non provavo.
Con ogni sfioramento e ogni bacio volevo farle capire che ero suo, finché la paura di perdermi non avesse abbandonato i suoi occhi.
«Antonio…» alitò, mordendomi una spalla quando le spostai la coppa del reggiseno.
Il dolore si fuse a un desiderio impetuoso che mi fece irrigidire fino allo spasimo. Chinai il capo e leccai i suoi capezzoli prima di succhiarli nella mia bocca. La mia erezione premeva per essere liberata dalla costrizione degli indumenti.
Il respiro le si strozzò in gola e si inarcò per offrirsi a me completamente, senza condizioni.
La vista mi si annebbiò e mi aggrappai a lei con più forza.
Quando mi prese il capo tra le mani e mi tenne la testa ferma in un invito a divorare il suo corpo, emisi un verso che non aveva nulla di umano.
Aveva tutto a che fare con l’istinto di possederla, di marchiarla.
Mia.
Con un gemito roco mi spostai in avanti per farla distendere.

Mi tenni in equilibrio su di lei, le braccia tese a sostenere il mio peso.
I suoi occhi erano storditi di piacere, la bocca aperta per emettere ansiti affrettati.
Era pronta per me e ancora non l’avevo spogliata del tutto.
Mi spostai per sfilarle i jeans. Greta sollevò il bacino e mosse le anche per aiutarmi nella manovra.
Mi morsi l’interno delle guance per resistere al richiamo dei suoi fianchi che si arcuavano in una richiesta inconsapevole e per questo più eccitante.
Rallenta.
Le accarezzai i polpacci, poi aprii i palmi sulle cosce, artigliando la carne tenera e invitante, toccando ciò che era mio e di nessun altro.
«Ti prego!»
Un grido soffocato. Il suo.
Al diavolo pazientare!
Calai su di lei imponendole un bacio brutale, disordinato e bagnato. E il ritmo accelerò di nuovo, incurante del mio desiderio di venerarla.
La volevo.
Mi voleva.
Affondai la lingua nella sua bocca, con stoccate rapide che la lasciarono senza fiato.
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Greta mi slacciò il cordoncino della tuta, le sue mani tremavano al punto che dovette riprovarci più volte. Sibilai quando mi abbassò i boxer.
Nel silenzio della stanza, rotto solo dai nostri sospiri, il rumore della stoffa dei suoi slip che si strappava risuonò con la violenza di un tuono.
«Guardami» ringhiai. A malapena riuscivo a controllare la smania di possederla.
Greta si sforzò di tenere gli occhi aperti. Erano lucidi di passione, non più di dolore.
Le circondai la gola con una mano, l’altra la piantai nel cuscino a lato della sua testa. Tenni lo sguardo fisso nel suo mentre mi spingevo in lei, scivolavo nel suo ventre e Greta penetrava nel mio cuore.
I suoi muscoli mi avvolsero, stretti e bollenti.
Reclamarono il mio corpo e la mia anima.
Sprofondai dentro di lei ancora e ancora, accompagnando ogni colpo con un grugnito di piacere.
Non smisi di guardarla mentre mi ritraevo per poi riempirla ogni volta più a lungo, più in profondità.
Scosse la testa, incapace di stare ferma, e io allentai la presa sul suo collo.
«I tuoi occhi» pretesi.
Greta proruppe in un gemito di disappunto e mi circondò la vita con le gambe. Con i talloni mi incoraggiò ad aumentare la velocità degli affondi.
Sentii le sue pareti interne contrarsi, un calore liquido facilitarmi i movimenti.
Mancava poco.
Un'unica, potente spinta e Greta esplose in un urlo di piacere che frantumò il mio controllo.
Mi piegai su di lei e la baciai, i fianchi che pompavano incontrollati finché non sentii montare il mio orgasmo alla base della schiena.
Mi ritrassi appena in tempo e soffocai un gemito gutturale nel suo collo mentre venivo sulla sua pancia per evitare che la mia incoscienza avesse delle conseguenze.
Non avevo pensato ai preservativi.
Non avevo pensato a nulla.
Appoggiai la fronte alla sua, il corpo scosso dai fremiti, spossato dall’intensità del godimento.
Quando mi ripresi, mi voltai sulla schiena, portandola con me, in modo che Greta fosse stesa sul mio petto.
L’odore dei nostri corpi, di sudore e sesso mi riempiva le narici, le tracce della nostra unione ci incollavano l’uno all’altra.
Greta mi baciò il mento e i capelli le ricaddero in avanti, coprendo i nostri volti. Infilai le dita nelle sue ciocche e la tenni ferma, baciandola a fondo e con perizia.
«Resterò con te. Per sempre.»
Le mormorai la mia promessa sulle labbra gonfie di baci ma non ancora sazie.
Avevamo tutta la notte.
Tutta una vita, se fosse dipeso da me.
Dipende anche da te.
«Ho bisogno che non ti arrendi» sussurrò.
Non sarebbe più successo, avrei combattuto per lei. Per noi.
«Non ti lascio più.» Le presi la mano e gliela feci appoggiare sul mio cuore, replicando il suo gesto. «Batte per te.»
Greta nascose il viso nel mio collo. Una sua lacrima mi bagnò la pelle e subito dopo un nodo di commozione mi strinse la gola.
La serrai nel mio abbraccio finché lo sfinimento non ci vinse.
Insieme.
Felici.

«Mi hai fatto male» esordii. «Voglio che tu lo sappia.»
Antonio sospirò, costernato, ma io non mollai la presa. Eravamo stesi sul letto, sotto le lenzuola, una di fronte all’altro.
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Adoravo sentire le sue gambe intrecciate alle mie, le sue braccia avvolgermi e il suo petto sollevarsi sotto i miei palmi.
Guardarsi negli occhi in quel modo, così da vicino, era intimo e dolce. Il mondo non esisteva al di fuori del groviglio dei nostri corpi.
«Lo so» ammise, la voce piena di rincrescimento.
Gli sfiorai la guancia con la mano.
Non aveva capito.
«È stato il tuo dolore a spezzarmi il cuore.»
Sgranò leggermente gli occhi, incredulo, e sentii di nuovo una fitta di dispiacere e amarezza allo stomaco.
Quando era stata l’ultima volta che qualcuno si era preoccupato per lui?
«Io…» iniziò, poi abbassò lo sguardo. Non gli misi fretta, sapevo che questa volta mi avrebbe parlato. Se non fosse stato pronto ad aprirsi, mi avrebbe lasciato andare via da casa sua e dalla sua vita. Non era crudele, e nemmeno disonesto.
«Cosa posso offrire a una donna come te?» mi chiese. La preoccupazione nel suo tono era autentica e il mio battito accelerò.
Era stata quell’umiltà a conquistarmi, il suo senso di responsabilità.
Possibile che non si rendesse conto di quanto la sua correttezza fosse preziosa?
«Puoi avere chiunque. Puoi avere di meglio.»
Non lo disse per essere rassicurato. Ci credeva davvero e, conoscendo il suo orgoglio, quelle parole assunsero un significato più profondo.
Antonio sarebbe stato disposto a rinunciare a tutto, perfino a me, per consentirmi di avere ciò che secondo lui meritavo.
Non ero certa di essere all'altezza di tanta devozione, ma era mio intento guadagnarmela. «Voglio te.»
Sorrise e mi scostò una ciocca di capelli dalla guancia, puntandomela dietro l’orecchio.
Era così attento e buono.
Dopo la prima volta, aveva fatto ancora l’amore con me con tanta abilità ed esasperante dolcezza da rubarmi il cuore.
«Sarà difficile» mi avvisò. «Gabriele verrà sempre prima, anche quando desidererò scappare da tutto e stare solo con te.»
Annuii, consapevole e ammirata. Era giusto e non avrei voluto che fosse diversamente. Entrare nella vita di Antonio significava far parte di quella di Gabrielino. Era un grosso impegno, ma ero pronta a mettere le necessità del bambino al di sopra di tutto, anche di Antonio.
«Non sono abituato a condividere i miei silenzi, ci saranno volte in cui mi odierai per averti trattenuta questa sera.»
Gli posai le dita sulle labbra per intimargli di stare zitto.
I sentimenti che provavo per lui erano intensi e dirompenti. Tremai per la forza con cui premevano per essere espressi, dimostrati.
«Taci» pregai, la voce soffocata dall’emozione.
Sarebbe stato difficile? Sicuramente.
Ci sarebbero state volte in cui avrei desiderato scappare? Probabile.
Ma la vita non era semplice, non era una fiaba imbastita per sostituire le illusioni alla realtà. Era un percorso di ripide salite e rocambolesche discese, un viaggio che volevo condividere con lui.
«Non voglio qualcosa di bello» riuscii a dire.
Antonio chiuse gli occhi per un attimo, addolorato, e mi baciò le dita. Il suo tormento per non potermi regalare il sogno mi comprimeva i polmoni.
Gli spostai la mano su una guancia e sollevai l’altra per incorniciargli il viso.
«Voglio qualcosa di vero
Con un gemito mi attirò a sé e nascose il volto nel mio seno.
Gli strinsi il capo tra le braccia e seppellii il naso nei suoi capelli.
Avrei potuto cingerlo in quel modo tutta la notte.


«Come te la sei fatta questa?» mi chiese Greta sfiorando la cicatrice sotto il mio
occhio sinistro.
Era stesa su di me e mi studiava il volto con un sorriso compiaciuto.
Le piaceva ciò che vedeva.
Un senso di pace si impadronì di me. Era come essere accarezzati dalle ali di una farfalla.
«Mio padre» risposi e, nonostante il disprezzo che provavo, lo stomaco mi si annodò per il dolore.
Lui era il mio sangue.
Un sangue sporco, vile, amaro… ma il mio.
«Quella volta usò…» mi fermai, cercando di trovare le parole adatte e la forza per pronunciarle.
Non avevo mai parlato a nessuno del mio passato.
«Usò i denti» terminai.
Greta sussultò tra le mie braccia e il fiato le si spezzò.
Inspirai con forza e serrai le mascelle, provando a resistere all’ondata di rabbia e pena che minacciava di travolgermi.
Qualcosa di caldo e umido mi atterrò sulla guancia.
Cercai gli occhi di Greta e li trovai lucidi di pianto.
Soffriva per me.
Mi sarei strappato il cuore pur di non vedere una sola lacrima solcarle le guance.
«Voglio sapere tutto» esclamò coraggiosamente, anche se la sua espressione diceva altro. Era una donna sensibile. Scoprire che un padre poteva arrivare a staccare la carne a morsi dal volto del proprio figlio non doveva essere semplice.
Le lisciai i capelli per tranquillizzarla.
«Ce ne sono altri» ammisi, riferendomi ai segni che mio padre mi aveva lasciato. Ne portava qualcuno anche lui. Crescendo avevo imparato a difendermi.
Greta abbassò il volto e mi baciò le labbra, poi il naso, le guance, quella dannata cicatrice che si apriva come un ghigno sopra il mio zigomo… ovunque la sua bocca si posò, la mia pelle dimenticò le percosse.
La tenerezza rese agrodolce quel momento. Con chiunque altro sarebbe stato difficile. Non con Greta.
Chiusi gli occhi e mi godetti le sue attenzioni, il candore, l’affetto.
Lasciai che i suoi baci portassero via tutto.
C’erano nuove memorie da accumulare.
Le avrei condivise con lei.

Il mio corpo non avrebbe sopportato altro. Ero ipersensibile e ogni lieve contatto mi provocava i brividi.
Antonio mi accarezzava la schiena in cerchi lenti, impedendomi di dimenticare l’impronta delle sue mani.
Sistemai la guancia sulla sua spalla e ne approfittai per un bacio fugace.
Ero appagata.
Incredibilmente soddisfatta.
«Che ore sono?» chiesi, assonnata.
Erano ore che rubavamo qualche minuto di sonno qui e lì al bisogno più pressante di parlare e fare l’amore.
Antonio era instancabile.
«Domani sarà domenica» mi ricordò, e sentii una traccia di divertimento nella sua voce. Voleva restare a letto tutto il giorno?
«Mi ucciderai» protestai e lui scoppiò a ridere.
Era una bella risata, calda e roca. Non era la prima volta che la ascoltavo quella notte, ma mi sorprendeva ancora.
Era stato strano vederlo offrirmi qualcosa di più di un sorriso tirato, ma l’intimità aveva cementato il nostro rapporto, gettando le basi per una relazione stabile.
Antonio aveva mantenuto la sua promessa e, anche se c’erano stati momenti in cui aveva rincorso le parole che gli sfuggivano, aveva risposto alle mie domande.
Non sarebbe mai stato un chiacchierone, e forse avrebbe sempre avuto bisogno di essere pungolato dalle mie richieste, ma ora sapevo che mi avrebbe offerto sincerità assoluta, anche quando diventava faticoso.
E lo era stato. Per lui. Per me.
Le violenze perpetrate da suo padre, la dignitosa sopportazione di sua madre, le paure per il futuro di Gabriele... c’era un mondo nascosto nei suoi silenzi. Ora ne facevo parte anche io e avrei fatto di tutto per donargli un po’ di serenità.
«È solo una pausa, questa» mi avvisò e io gemetti.
Davvero non avrei resistito a un altro amplesso.
«Non puoi essere serio!» insorsi. Un tentativo vano.
Antonio si mosse e mi schiacciò sul materasso, allungandosi su di me con un sorriso malizioso.
Avevo scoperto un lato giocoso in lui che mi aveva deliziata.
Era cupo per la maggior parte del tempo, ma a letto? Era un leone, un grosso gatto che, dopo aver soddisfatto i suoi bisogni, si rotolava al sole alla ricerca di coccole e attenzioni.
«Mia» mi sussurrò sulla bocca.
Sorrisi e intrappolai tra i denti il suo labbro inferiore. Lo leccai fino a strappargli un gemito, poi lo lasciai andare.
«E tu? Sei mio?» gli chiesi. Doveva essere una domanda leggera, e in un altro momento non sarebbe suonata così insicura.
Fino al giorno prima la sua vicinanza sarebbe bastata a tranquillizzarmi, ma ero ancora sconvolta da tutte le emozioni della giornata e non riuscii a soffiare via l’ansia da me.
«Mi hai» rispose Antonio, strofinando il naso contro il mio.
«Davvero?»
Patetica. Se non avessi smesso subito, mi sarei coperta di ridicolo.
«Basta scappare» mi giurò.
Ignorai quanto quell’ammissione mi sollevò. Non mi vantavo continuamente di attribuire più importanza ai gesti anziché alle parole?
«Non ti avrei rincorso» specificai per tenerlo sulle spine. Ed era la verità. Se lui non mi avesse trattenuta, sarei tornata a casa e avrei messo una pietra sopra alle mie speranze. Quando mi aveva bloccata nel suo abbraccio per impedirmi di fuggire, tutta la tensione e il dolore erano scoppiati nella reazione più irragionevole di cui avessi memoria. Solo lui avrebbe potuto rimettere insieme i pezzi, ed era stato grandioso.
«Lo so» disse, serio, e mi rammaricai di aver tirato fuori l’argomento.
Gli accarezzai la schiena con la pressione delle unghie. Avvertivo il bisogno primitivo di graffiarlo, di lasciargli dei segni che gli ricordassero di me.
«Ti avevo dato il mio cuore e l’hai rifiutato.»
Antonio si scostò per guardarmi negli occhi e io mi persi nei suoi, neri come il carbone, illuminati dal riverbero giallo dell’abat-jour.
Il suo viso era segnato, per niente gentile, eppure la sua ruvida bellezza mi lasciava sempre inebetita.
«Non sapevo di averlo fatto» mi confessò. Chiuse le palpebre lentamente e il suo respiro rallentò. Stava cercando di dirmi qualcosa. «Non credevo che provassi i miei stessi sentimenti.»
Mi girava la testa.
I suoi stessi sentimenti?
Avrei voluto piangere, ridere e gridare tutto in una volta.
Riuscii solo a guardare i suoi occhi con la speranza che la sorpresa e l’amore che provavo si specchiassero sul mio volto.
Mi aveva appena donato il mondo.
«Devi rassegnarti al fatto che sono innamorata di te» mormorai, il tono flebile.
Antonio appoggiò la fronte alla mia ed espirò di botto.
Non ero l’unica a corto d’aria.
«Non riesco a crederci» bisbigliò, come se avesse paura che, alzando la voce, potessi rimangiarmi la mia confessione.
«Bastano una manciata di ore per innamorarsi» iniziai, alzando il mento per baciargli un angolo della bocca, dove c’era una piccola cicatrice che avevo scoperto ispezionando il suo viso. «È l’impegno che trasforma l’amore in un legame.»
Antonio si mosse tra le mie gambe e si spinse dentro di me. L’invasione tra le pieghe gonfie e sensibili mi strappò un grido strozzato.
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Da qualche parte tra un amplesso e un altro ero riuscita a dirgli che prendevo la pillola. Il controllo che aveva esercitato su se stesso la prima volta, pur di evitarmi una gravidanza prematura, mi aveva commossa.
«Vuoi un legame?» ringhiò mentre muoveva i fianchi con ondeggiamenti lenti e incalzanti.
Singhiozzai per il piacere che si stava diffondendo nel mio ventre.
Antonio mi teneva il capo fermo, aveva il bisogno di guardarmi quando impazzivo per lui.
«Non dovrei… darti tutte queste conferme» esalai, aggrappandomi alla sua schiena. «Ti annoierò presto.»
Antonio uscì quasi completamente da me e urlai per il bisogno di reclamarlo nella mia carne. Si seppellì di nuovo dentro di me con un colpo vigoroso che mi fece battere i denti, prima di ripetere il movimento.
Lacrime di sofferenza mi bruciarono le tempie. Mi teneva sul filo di una soddisfazione delirante, impedendomi di raggiungere l’orgasmo.
«Mai» ruggì, mentre gli graffiavo la pelle con le unghie, abbandonandomi a una passione selvaggia che non avevo mai conosciuto. «Sarai tu a stancarti di me.»
La spinta successiva mi fece inarcare sul letto. «Antonio!» invocai, il piacere così vicino da poterlo toccare con mano.
«Non succederà» lo rassicurai. «Non succederà mai!»
Il mio grido successivo si perse nella sua bocca, mentre i nostri corpi raggiungevano insieme la vetta e i nostri cuori si riconoscevano.
Era mio.
Ero sua.


Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia.


 

Okay, oggi fa decisamente caldo!
Spero che il quarto episodio di Sangue Amaro sia stato di vostro gradimento.
Nelle ultime tre settimane i toni sono stati accesi, i problemi pressanti e i conflitti dolorosi. In questo capitolo ho voluto costruire. C'era bisogno di una pausa, c'era bisogno di dialogo.
L'intimità è stata la prima chiave utilizzata da Antonio per dare voce a ciò che sentiva, ma poi ha dovuto iniziare a comunicare perché questa volta Greta non sarebbe mai rimasta al suo fianco. L'ha fatto. Non è ancora abbastanza, ma Roma non è stata costruita in un giorno. 
Ho cercato di darvi più momenti di una stessa notte per farvi vedere come si è arrivati alle dichiarazioni finali. Le parole importanti raramente sono estemporanee, per lo più poggiano su una base di confidenza e di condivisione. 
Niente gesti eclatanti in momenti assurdi, ma tantissima normalità.
Siamo esattamente alla metà del racconto. 
Respirate a pieni polmoni e conservate la dolcezza di questa puntata: la fine è lontana!
Questa settimana vi ho sentito molto vicine e vedere quanto vi siete affezionate ad Antonio e Greta mi commuove profondamente. Cosa farei senza di voi?
GRAZIE DAVVERO DI CUORE!
Spero di leggere ancora i vostri COMMENTI e di ritrovarvi ancora qui la prossima settimana.
Vi abbraccio.
Angela



ALCUNE CONSIDERAZIONI LINGUISTICHE:

1 - Nun chiagnere, piccerè: Non piangere, piccola.

Vi dissi già che con Antonio avrei avuto dei problemi nella mediazione linguistica. Nella Puntata #2 sono riuscita a trovare delle soluzioni intermedie tra il napoletano e l’italiano, scegliendo quello che in linguistica si chiama italiano regionale di tipo campano.
In questo caso, tuttavia, l’emozione del personaggio era troppo forte per tentare una razionalizzazione e, dopo aver pensato a una serie di varianti, ho preferito tenere la frase in dialetto.
Perché non tradurla semplicemente?
Sì, effettivamente la frase non è complessa e non è proverbiale, MA utilizzare in quel momento l’italiano non avrebbe reso fino in fondo il grande disordine emotivo vissuto dal protagonista, un crollo totale di filtri che nella realtà si traduce in un rifugio nella lingua naturale. La lingua naturale di Antonio è il dialetto napoletano.


2 - La prima parte di questa puntata l’ho riscritta, amputata, sistemata così tante volte da impazzire.
Era necessario.
La prima versione, quella che preferivo, era inadatta.
Creare un personaggio come Antonio mi ha messo di fronte alla necessità di interrogarmi su quanto l’autore possa interferire con il personaggio. Antonio ha un lessico più povero ma soprattutto una fraseologia molto essenziale che rispecchia un pensiero lineare. Vi faccio vedere cosa intendo.

Questa è la versione che avete letto:

Esempio 1: Se avesse smesso di respingermi avrebbe sentito quanto ero addolorato.
Ero stato un codardo.

Esempio 2: Volevo confortare me stesso perché la stavo perdendo e non potevo sopportarlo.

Questa è la versione originale:

Esempio 1: Se avesse smesso di respingermi avrebbe sentito quanto ero addolorato. Avrebbe capito che aveva vinto e che adesso mi auguravo solo di riuscire a farle dimenticare la mia codardia.

Esempio 2: Volevo confortare me stesso perché mi stava scivolando tra le dita e non potevo sopportarlo.

Concettualmente cambia poco, ma nel primo caso parla Antonio, nel secondo ero io ad attribuirgli dei periodi articolati in maniera troppo complessa per essere aderenti a un personaggio che è pensa in modo molto più puntuale ed essenziale.
Esempi del genere ce ne sono tanti. Sappiate solo che ho dovuto scegliere tra l’autocompiacimento per delle belle frasi e l’attinenza alla realtà.
Ho scelto l’attinenza alla realtà e non me ne pento!




12 commenti:

  1. «Non voglio qualcosa di bello. Voglio qualcosa di vero.»
    Sangue Amaro è beIIo (proprio tanto) e vero.

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  2. Cara Angela, le tue puntate una meglio dell'altra e come hai affermato oggi c'è proprio tanto caldo.....wow...puntata super, Antonio e Greta sono davvero unici.....ora però sono triste. Mi tocca aspettare un'altra settimana per poter assaporare la quinta puntata😘😘😘

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  3. Una bellissima puntata, una pausa penso dai problemi che sorgeranno sicuramente, perché purtroppo l'amore non basta. Ma è una storia davvero molto bella e non si può che fare il tifo per questi due giovani così diversi che si amano, ma insieme sono più forti e penso che nonostante tutto ce la possano fare. Antonio è un uomo davvero speciale.

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  4. Sempre più emozionante bellissimo !!!!

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  5. Spendido!! Ho riletto le 4 puntate tutte assieme.. emozionante!! Certo, oggi fa caldissimo:-)... e la lacrimuccia è scesa anche a me: bravissima!!!

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  6. Bello,bello e ancora bello!! Continua così perché la storia mi piace davvero tanto..Grazie e complimenti tesoro...

    Rosa D.M

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  7. Prima di tutto "Nun chiagnere, piccerè" è poesia, è una frase che raccoglie amore, passione, protezione. Poi Antonio mi piace da morire, poiché ha un lessico povero, è un personaggio che "si sente", è tutto emozioni.
    Ma mo devo aspettare sabato prossimo! Uffa

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  8. Stupendo Angela ... mi sembra di vivere la storia leggendo.. Antonio e suoi silenzi ti trasmette tutto il suo dolore e alle difficoltà ad aprirsi ...
    Bravissima un bacione da Rosi

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  9. Commovente, intensa, passionale... questa puntata è stata unica. Davvero.

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