PUNTATA #4
«Non. Un.
Solo. Passo.»
Gli occhi di
Greta si spalancarono e il colore le abbandonò il viso.
Conoscevo le
sue intenzioni ancora prima che guardasse la porta alle mie spalle. Era
riuscita a confessarmi le sue speranze e ora desiderava solo scappare per
leccarsi le ferite da sola. Lontano da me.
Non potevo
permetterle di andarsene. Non ora.
Scattò verso
destra. Mi spostai velocemente e la afferrai per la vita.
Boccheggiò e
si aggrappò al mio braccio, mentre il suo corpo si piegava in avanti per la
forza dell’impatto.
Esalò un
rantolo, la bocca aperta in cerca di aria.
Le posai una
mano su un fianco, così da tenerla ferma, e la aiutai a mettersi diritta.
Il suo petto
si sollevava freneticamente. Il mio era immobile da quando era entrata in casa
mia. Tutto si era fermato in me, persino il mio cuore.
«Lasciami,
Antonio!»
L’urlo suonò
debole, ma la sua disperazione mi colpì come uno schiaffo.
Le presi il
volto tra le mani, premendo sulle guance perché mi guardasse negli occhi.
«Ti ho detto
di non muoverti.»
Avevo
bisogno di tempo per trovare le parole adatte, avevo bisogno che restasse al
mio fianco.
Greta provò
a scuotere la testa per liberarsi della mia presa e mi conficcò le unghie nei
polsi. Il dolore non riuscì a farmi aprire le dita.
Chissà se si
era accorta che tremavo.
«Voglio
andare via» ansimò.
Non voleva
crollare davanti a me.
«No.»
Il mio era
un rifiuto. Una preghiera.
Si dibatté
con violenza, accompagnando ogni strattone con versi di impotenza che mi
graffiarono le orecchie.
Le spostai le
mani sulle spalle e la strinsi contro di me, cercando di bloccare i suoi
movimenti. Rabbrividì ma non si arrese, alzò i palmi e li premette sul mio torace
per farmi arretrare.
«Guardami!»
Se avesse smesso
di respingermi, avrebbe sentito quanto ero addolorato. Ero stato un codardo.
Uno
strattone più forte, un singulto.
Le sollevai
il mento. Serrai le mascelle per resistere al tormento delle sue lacrime.
Dio, avevo
bisogno della sua bocca!
Solo per un
attimo.
Spensi i
suoi lamenti con un bacio.
I suoi denti
affondarono nel mio labbro inferiore e sulla lingua avvertii il sapore del
sangue.
«Greta. Basta.»
Guardami, ti prego.
Il suo
singhiozzo mi spezzò il cuore.
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Strinsi le
palpebre quando il suo primo pugno mi raggiunse lo stomaco.
L’abbracciai
più forte quando iniziò a piangere.
La cullai
mentre la sua determinazione lasciava il posto al dolore.
Quello che
le avevo provocato lasciandola senza una parola, quando ancora una volta non le
avevo dato fiducia.
Si dimenò,
calciò. Attutii i colpi, sapendo di meritarli. Tutti.
Aspettai che
il pianto la esaurisse e rimanesse solo la stanchezza.
Le gambe di
Greta cedettero.
Mi abbassai
e le passai un braccio sotto le ginocchia. La portai nella mia stanza e la
adagiai sulle coperte.
«Non servirà
a niente» si lamentò, il tono straziato.
Mi stesi su
di lei, il viso all’altezza del suo. La accarezzai all’attaccatura dei capelli.
Volevo consolarla, rassicurarla. Volevo confortare me stesso perché la stavo
perdendo e non potevo sopportarlo.
Greta
avrebbe affrontato ogni difficoltà con me.
Io ero stato
troppo vigliacco per essere felice con lei.
Le lacrime
le bagnarono le tempie, si raccolsero nei suoi capelli.
Nella
penombra riuscivo a vedere quasi tutto. Anche ciò che non volevo.
«Dopo» dissi,
la voce roca.
Dovevo
riuscire a strappare via da me l’orgoglio e la diffidenza per darle ciò che voleva,
ciò che meritava. Era importante.
Insinuai le
dita nei suoi capelli e tirai leggermente.
Greta aprì
gli occhi arrossati e io appoggiai la fronte alla sua. Pregai che capisse. Non
ero capace di raccontarle di me, di ciò che provavo.
Per lei
l’avrei fatto, giurai a me stesso. Per Greta. Per la mia donna.
Ma non ora.
«Ti dirò
tutto» le promisi. «Dopo.»
Ora avevo
bisogno di farla mia, di vederla abbandonarsi e guardarmi con la fiducia che mi
aveva concesso fino a qualche ora prima, quando non avevo ancora rovinato
tutto.
Quando avevo
la sua stima e la sua devozione.
Guardami davvero.
Le sfuggì un
solo singhiozzo, poi sentii le sue braccia circondarmi la vita.
Il sostegno
dei gomiti venne meno e crollai su di lei, il viso nascosto nel suo collo. Il
sollievo mi privò di ogni energia.
«Dopo»
sussurrai ancora e ancora, in una litania che avrebbe dovuto convincere me, più
che lei.
Ero pronto?
Non avevo scelta.
Non potevo
più incolparla di aver agito con leggerezza. Aveva combattuto per me e il suo
coraggio era un dono che non potevo rifiutare.
Nessuna discussione sarebbe stata sterile... ci saremmo arricchiti.
Volevo il
futuro di cui mi aveva parlato.
Volevo lei.
«Greta…?»
Ci provai,
ma non fui capace di dar voce alla mia richiesta d’aiuto. Le corde vocali non
collaborarono, anche se il mio cuore stava urlando.
Greta capì.
Mi sfiorò le
labbra con le sue.
Era quanto
bastava per darmi ciò di cui avevo bisogno.
Il permesso.
L’assoluzione. Il perdono.
Le presi il
viso tra le mani. Lo tenni fermo con delicatezza, come se potesse rompersi alla
minima pressione, e le baciai la fronte, il naso, gli occhi, la bocca morbida e
dischiusa, aperta per me, per tutto ciò che le avrei dato.
Assaporai il
gusto salato delle lacrime che non smettevano di rigarle le guance, questa
volta per l’emozione, per la dolcezza di quel momento che avrei ricordato per
sempre.
«Smettila,
ti prego» pregai, perché non sopportavo più i suoi respiri spezzati. «Va tutto
bene, ora.»
Le mie parole
provocarono nuovi singhiozzi e le braccia di Greta mi circondarono il collo.
«Nun chiagnere, piccerè» sussurrai, con il
dispiacere che mi strozzava la voce.
«Ora smetto»
mi promise, ma non riuscì a trattenere un nuovo singulto.
La aiutai a
mettersi seduta per consentirle di prendere fiato e la guardai per un tempo
interminabile.
Era bella,
anche con gli occhi pesti e il naso rosso.
Avrei potuto
contemplarla per ore senza stancarmi.
Ho bisogno di toccarla.
Le sfiorai
la gola con le nocche. La sua pelle era liscia come velluto.
Con l’indice
tracciai il profilo della scollatura del suo top, poi aprii il palmo sul suo
petto, sopra la rotondità invitante del seno.
Greta posò
una mano sulla mia e me la tenne ferma, per consentirmi di sentire, di capire.
Il suo cuore
batteva forte.
Batteva per
me.
La attirai per
un bacio dolce e insieme violento. La tenni ferma per la nuca e inclinai la
testa per immergere la lingua ancora più in profondità nella sua bocca, per
cercare e trovare la sua in un duello che mi riempì di sollievo e di passione.
Più contatto.
La liberai dal
giacchetto primaverile. La pelle delle sue braccia era increspata da brividi.
Indugiai
solo un attimo, poi le tolsi la maglietta.
Le dita di
Greta corsero all’orlo della mia T-Shirt. Me la sollevò, staccando le labbra
dalle mie solo per sfilarmela dalla testa.
I suoi
movimenti erano nervosi, come se temesse che quel momento finisse, che ci
ripensassi.
Le passai un
braccio intorno alla vita e la feci sedere sul mio grembo.
Con l’altra
mano accarezzai il suo stomaco piatto, modellai la curva dei seni pieni, gli
avvallamenti disegnati dalle costole.
Ogni tocco
le strappò un sospiro, un gemito, un’invocazione di accelerare il ritmo, di
darle tutto.
«Lascia che
ti guardi» mormorai. La voce mi uscì soffocata e cavernosa.
Mi sforzai di imprimere ai miei gesti una
calma che non provavo.
Con ogni
sfioramento e ogni bacio volevo farle capire che ero suo, finché la paura di
perdermi non avesse abbandonato i suoi occhi.
«Antonio…» alitò,
mordendomi una spalla quando le spostai la coppa del reggiseno.
Il dolore si
fuse a un desiderio impetuoso che mi fece irrigidire fino allo spasimo. Chinai
il capo e leccai i suoi capezzoli prima di succhiarli nella mia bocca. La mia erezione
premeva per essere liberata dalla costrizione degli indumenti.
Il respiro
le si strozzò in gola e si inarcò per offrirsi a me completamente, senza
condizioni.
La vista mi
si annebbiò e mi aggrappai a lei con più forza.
Quando mi
prese il capo tra le mani e mi tenne la testa ferma in un invito a divorare il
suo corpo, emisi un verso che non aveva nulla di umano.
Aveva tutto
a che fare con l’istinto di possederla, di marchiarla.
Mia.
Con un
gemito roco mi spostai in avanti per farla distendere.
Mi tenni in equilibrio su di lei, le braccia tese a sostenere il mio peso.
I suoi occhi
erano storditi di piacere, la bocca aperta per emettere ansiti affrettati.
Era pronta
per me e ancora non l’avevo spogliata del tutto.
Mi spostai
per sfilarle i jeans. Greta sollevò il bacino e mosse le anche per aiutarmi
nella manovra.
Mi morsi
l’interno delle guance per resistere al richiamo dei suoi fianchi che si
arcuavano in una richiesta inconsapevole e per questo più eccitante.
Rallenta.
Le accarezzai
i polpacci, poi aprii i palmi sulle cosce, artigliando la carne tenera e
invitante, toccando ciò che era mio e di nessun altro.
«Ti prego!»
Un grido soffocato.
Il suo.
Al diavolo
pazientare!
Calai su di
lei imponendole un bacio brutale, disordinato e bagnato. E il ritmo accelerò di
nuovo, incurante del mio desiderio di venerarla.
La volevo.
Mi voleva.
Affondai la
lingua nella sua bocca, con stoccate rapide che la lasciarono senza fiato.
Teaser realizzato da Giorgia Golfetto. |
Nel silenzio
della stanza, rotto solo dai nostri sospiri, il rumore della stoffa dei suoi
slip che si strappava risuonò con la violenza di un tuono.
«Guardami»
ringhiai. A malapena riuscivo a controllare la smania di possederla.
Greta si
sforzò di tenere gli occhi aperti. Erano lucidi di passione, non più di dolore.
Le circondai
la gola con una mano, l’altra la piantai nel cuscino a lato della sua testa. Tenni
lo sguardo fisso nel suo mentre mi spingevo in lei, scivolavo nel suo ventre e Greta
penetrava nel mio cuore.
I suoi
muscoli mi avvolsero, stretti e bollenti.
Reclamarono
il mio corpo e la mia anima.
Sprofondai
dentro di lei ancora e ancora, accompagnando ogni colpo con un grugnito di
piacere.
Non smisi di
guardarla mentre mi ritraevo per poi riempirla ogni volta più a lungo, più in
profondità.
Scosse la
testa, incapace di stare ferma, e io allentai la presa sul suo collo.
«I tuoi
occhi» pretesi.
Greta
proruppe in un gemito di disappunto e mi circondò la vita con le gambe. Con i
talloni mi incoraggiò ad aumentare la velocità degli affondi.
Sentii le
sue pareti interne contrarsi, un calore liquido facilitarmi i movimenti.
Mancava
poco.
Un'unica,
potente spinta e Greta esplose in un urlo di piacere che frantumò il mio
controllo.
Mi piegai su
di lei e la baciai, i fianchi che pompavano incontrollati finché non sentii
montare il mio orgasmo alla base della schiena.
Mi ritrassi
appena in tempo e soffocai un gemito gutturale nel suo collo mentre venivo
sulla sua pancia per evitare che la mia incoscienza avesse delle conseguenze.
Non avevo
pensato ai preservativi.
Non avevo
pensato a nulla.
Appoggiai la
fronte alla sua, il corpo scosso dai fremiti, spossato dall’intensità del
godimento.
Quando mi
ripresi, mi voltai sulla schiena, portandola con me, in modo che Greta fosse
stesa sul mio petto.
L’odore dei
nostri corpi, di sudore e sesso mi riempiva le narici, le tracce della nostra
unione ci incollavano l’uno all’altra.
Greta mi
baciò il mento e i capelli le ricaddero in avanti, coprendo i nostri volti.
Infilai le dita nelle sue ciocche e la tenni ferma, baciandola a fondo e con
perizia.
«Resterò con
te. Per sempre.»
Le mormorai
la mia promessa sulle labbra gonfie di baci ma non ancora sazie.
Avevamo tutta
la notte.
Tutta una
vita, se fosse dipeso da me.
Dipende anche da te.
«Ho bisogno
che non ti arrendi» sussurrò.
Non sarebbe
più successo, avrei combattuto per lei. Per noi.
«Non ti
lascio più.» Le presi la mano e gliela feci appoggiare sul mio cuore,
replicando il suo gesto. «Batte per te.»
Greta nascose
il viso nel mio collo. Una sua lacrima mi bagnò la pelle e subito dopo un nodo
di commozione mi strinse la gola.
La serrai
nel mio abbraccio finché lo sfinimento non ci vinse.
Insieme.
Felici.
«Mi hai
fatto male» esordii. «Voglio che tu lo sappia.»
Antonio
sospirò, costernato, ma io non mollai la presa. Eravamo stesi sul letto, sotto
le lenzuola, una di fronte all’altro.
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Guardarsi
negli occhi in quel modo, così da vicino, era intimo e dolce. Il mondo non
esisteva al di fuori del groviglio dei nostri corpi.
«Lo so»
ammise, la voce piena di rincrescimento.
Gli sfiorai
la guancia con la mano.
Non aveva
capito.
«È stato il tuo dolore a spezzarmi il cuore.»
Sgranò
leggermente gli occhi, incredulo, e sentii di nuovo una fitta di dispiacere e
amarezza allo stomaco.
Quando era
stata l’ultima volta che qualcuno si era preoccupato per lui?
«Io…» iniziò,
poi abbassò lo sguardo. Non gli misi fretta, sapevo che questa volta mi avrebbe
parlato. Se non fosse stato pronto ad aprirsi, mi avrebbe lasciato andare via
da casa sua e dalla sua vita. Non era crudele, e nemmeno disonesto.
«Cosa posso offrire
a una donna come te?» mi chiese. La preoccupazione nel suo tono era autentica e
il mio battito accelerò.
Era stata quell’umiltà
a conquistarmi, il suo senso di responsabilità.
Possibile
che non si rendesse conto di quanto la sua correttezza fosse preziosa?
«Puoi avere
chiunque. Puoi avere di meglio.»
Non lo disse
per essere rassicurato. Ci credeva davvero e, conoscendo il suo orgoglio,
quelle parole assunsero un significato più profondo.
Antonio
sarebbe stato disposto a rinunciare a tutto, perfino a me, per consentirmi di
avere ciò che secondo lui meritavo.
Non ero
certa di essere all'altezza di tanta devozione, ma era mio intento guadagnarmela.
«Voglio te.»
Sorrise e mi
scostò una ciocca di capelli dalla guancia, puntandomela dietro l’orecchio.
Era così
attento e buono.
Dopo la
prima volta, aveva fatto ancora l’amore con me con tanta abilità ed esasperante
dolcezza da rubarmi il cuore.
«Sarà
difficile» mi avvisò. «Gabriele verrà sempre prima, anche quando desidererò
scappare da tutto e stare solo con te.»
Annuii,
consapevole e ammirata. Era giusto e non avrei voluto che fosse diversamente.
Entrare nella vita di Antonio significava far parte di quella di Gabrielino. Era
un grosso impegno, ma ero pronta a mettere le necessità del bambino al di sopra
di tutto, anche di Antonio.
«Non sono
abituato a condividere i miei silenzi, ci saranno volte in cui mi odierai per
averti trattenuta questa sera.»
Gli posai le
dita sulle labbra per intimargli di stare zitto.
I sentimenti
che provavo per lui erano intensi e dirompenti. Tremai per la forza con cui
premevano per essere espressi, dimostrati.
«Taci»
pregai, la voce soffocata dall’emozione.
Sarebbe
stato difficile? Sicuramente.
Ci sarebbero
state volte in cui avrei desiderato scappare? Probabile.
Ma la vita
non era semplice, non era una fiaba imbastita per sostituire le illusioni alla
realtà. Era un percorso di ripide salite e rocambolesche discese, un viaggio
che volevo condividere con lui.
«Non voglio
qualcosa di bello» riuscii a dire.
Antonio
chiuse gli occhi per un attimo, addolorato, e mi baciò le dita. Il suo tormento
per non potermi regalare il sogno mi comprimeva i polmoni.
Gli spostai
la mano su una guancia e sollevai l’altra per incorniciargli il viso.
«Voglio
qualcosa di vero.»
Con un
gemito mi attirò a sé e nascose il volto nel mio seno.
Gli strinsi
il capo tra le braccia e seppellii il naso nei suoi capelli.
Avrei potuto
cingerlo in quel modo tutta la notte.
Era stesa su
di me e mi studiava il volto con un sorriso compiaciuto.
Le piaceva
ciò che vedeva.
Un senso di
pace si impadronì di me. Era come essere accarezzati dalle ali di una farfalla.
«Mio padre»
risposi e, nonostante il disprezzo che provavo, lo stomaco mi si annodò per il
dolore.
Lui era il
mio sangue.
Un sangue
sporco, vile, amaro… ma il mio.
«Quella
volta usò…» mi fermai, cercando di trovare le parole adatte e la forza per
pronunciarle.
Non avevo
mai parlato a nessuno del mio passato.
«Usò i
denti» terminai.
Greta
sussultò tra le mie braccia e il fiato le si spezzò.
Inspirai con
forza e serrai le mascelle, provando a resistere all’ondata di rabbia e pena
che minacciava di travolgermi.
Qualcosa di
caldo e umido mi atterrò sulla guancia.
Cercai gli
occhi di Greta e li trovai lucidi di pianto.
Soffriva per
me.
Mi sarei
strappato il cuore pur di non vedere una sola lacrima solcarle le guance.
«Voglio
sapere tutto» esclamò coraggiosamente, anche se la sua espressione diceva altro.
Era una donna sensibile. Scoprire che un padre poteva arrivare a staccare la
carne a morsi dal volto del proprio figlio non doveva essere semplice.
Le lisciai i
capelli per tranquillizzarla.
«Ce ne sono
altri» ammisi, riferendomi ai segni che mio padre mi aveva lasciato. Ne portava
qualcuno anche lui. Crescendo avevo imparato a difendermi.
Greta
abbassò il volto e mi baciò le labbra, poi il naso, le guance, quella dannata
cicatrice che si apriva come un ghigno sopra il mio zigomo… ovunque la sua
bocca si posò, la mia pelle dimenticò le percosse.
La tenerezza
rese agrodolce quel momento. Con chiunque altro sarebbe stato difficile. Non
con Greta.
Chiusi gli
occhi e mi godetti le sue attenzioni, il candore, l’affetto.
Lasciai che
i suoi baci portassero via tutto.
C’erano
nuove memorie da accumulare.
Le avrei
condivise con lei.
Il mio corpo
non avrebbe sopportato altro. Ero ipersensibile e ogni lieve contatto mi
provocava i brividi.
Antonio mi
accarezzava la schiena in cerchi lenti, impedendomi di dimenticare l’impronta
delle sue mani.
Sistemai la
guancia sulla sua spalla e ne approfittai per un bacio fugace.
Ero
appagata.
Incredibilmente
soddisfatta.
«Che ore
sono?» chiesi, assonnata.
Erano ore
che rubavamo qualche minuto di sonno qui e lì al bisogno più pressante di
parlare e fare l’amore.
Antonio era
instancabile.
«Domani sarà
domenica» mi ricordò, e sentii una traccia di divertimento nella sua voce.
Voleva restare a letto tutto il giorno?
«Mi
ucciderai» protestai e lui scoppiò a ridere.
Era una
bella risata, calda e roca. Non era la prima volta che la ascoltavo quella
notte, ma mi sorprendeva ancora.
Era stato
strano vederlo offrirmi qualcosa di più di un sorriso tirato, ma l’intimità
aveva cementato il nostro rapporto, gettando le basi per una relazione stabile.
Antonio
aveva mantenuto la sua promessa e, anche se c’erano stati momenti in cui aveva rincorso
le parole che gli sfuggivano, aveva risposto alle mie domande.
Non sarebbe
mai stato un chiacchierone, e forse avrebbe sempre avuto bisogno di essere
pungolato dalle mie richieste, ma ora sapevo che mi avrebbe offerto sincerità
assoluta, anche quando diventava faticoso.
E lo era
stato. Per lui. Per me.
Le violenze
perpetrate da suo padre, la dignitosa sopportazione di sua madre, le paure per
il futuro di Gabriele... c’era un mondo nascosto nei suoi silenzi. Ora ne
facevo parte anche io e avrei fatto di tutto per donargli un po’ di serenità.
«È solo una
pausa, questa» mi avvisò e io gemetti.
Davvero non
avrei resistito a un altro amplesso.
«Non puoi
essere serio!» insorsi. Un tentativo vano.
Antonio si
mosse e mi schiacciò sul materasso, allungandosi su di me con un sorriso
malizioso.
Era cupo per
la maggior parte del tempo, ma a letto? Era un leone, un grosso gatto che, dopo
aver soddisfatto i suoi bisogni, si rotolava al sole alla ricerca di coccole e
attenzioni.
«Mia» mi
sussurrò sulla bocca.
Sorrisi e
intrappolai tra i denti il suo labbro inferiore. Lo leccai fino a strappargli
un gemito, poi lo lasciai andare.
«E tu? Sei
mio?» gli chiesi. Doveva essere una domanda leggera, e in un altro momento non
sarebbe suonata così insicura.
Fino al
giorno prima la sua vicinanza sarebbe bastata a tranquillizzarmi, ma ero ancora
sconvolta da tutte le emozioni della giornata e non riuscii a soffiare via
l’ansia da me.
«Mi hai» rispose
Antonio, strofinando il naso contro il mio.
«Davvero?»
Patetica. Se
non avessi smesso subito, mi sarei coperta di ridicolo.
«Basta
scappare» mi giurò.
Ignorai
quanto quell’ammissione mi sollevò. Non mi vantavo continuamente di attribuire
più importanza ai gesti anziché alle parole?
«Non ti
avrei rincorso» specificai per tenerlo sulle spine. Ed era la verità. Se lui
non mi avesse trattenuta, sarei tornata a casa e avrei messo una pietra sopra
alle mie speranze. Quando mi aveva bloccata nel suo abbraccio per impedirmi di
fuggire, tutta la tensione e il dolore erano scoppiati nella reazione più irragionevole
di cui avessi memoria. Solo lui avrebbe potuto rimettere insieme i pezzi, ed
era stato grandioso.
«Lo so»
disse, serio, e mi rammaricai di aver tirato fuori l’argomento.
Gli
accarezzai la schiena con la pressione delle unghie. Avvertivo il bisogno
primitivo di graffiarlo, di lasciargli dei segni che gli ricordassero di me.
«Ti avevo
dato il mio cuore e l’hai rifiutato.»
Antonio si
scostò per guardarmi negli occhi e io mi persi nei suoi, neri come il carbone,
illuminati dal riverbero giallo dell’abat-jour.
Il suo viso
era segnato, per niente gentile, eppure la sua ruvida bellezza mi lasciava
sempre inebetita.
«Non sapevo
di averlo fatto» mi confessò. Chiuse le palpebre lentamente e il suo respiro
rallentò. Stava cercando di dirmi qualcosa. «Non credevo che provassi i miei
stessi sentimenti.»
Mi girava la
testa.
I suoi stessi sentimenti?
Avrei voluto
piangere, ridere e gridare tutto in una volta.
Riuscii solo
a guardare i suoi occhi con la speranza che la sorpresa e l’amore che provavo
si specchiassero sul mio volto.
Mi aveva
appena donato il mondo.
«Devi
rassegnarti al fatto che sono innamorata di te» mormorai, il tono flebile.
Antonio
appoggiò la fronte alla mia ed espirò di botto.
Non ero
l’unica a corto d’aria.
«Non riesco
a crederci» bisbigliò, come se avesse paura che, alzando la voce, potessi rimangiarmi la mia confessione.
«Bastano una
manciata di ore per innamorarsi» iniziai, alzando il mento per baciargli un
angolo della bocca, dove c’era una piccola cicatrice che avevo scoperto
ispezionando il suo viso. «È l’impegno che trasforma l’amore in un legame.»
Antonio si
mosse tra le mie gambe e si spinse dentro di me. L’invasione tra le pieghe
gonfie e sensibili mi strappò un grido strozzato.
Teaser realizzato da Giorgia Golfetto. |
«Vuoi un
legame?» ringhiò mentre muoveva i fianchi con ondeggiamenti lenti e incalzanti.
Singhiozzai
per il piacere che si stava diffondendo nel mio ventre.
Antonio mi teneva
il capo fermo, aveva il bisogno di guardarmi quando impazzivo per lui.
«Non dovrei…
darti tutte queste conferme» esalai, aggrappandomi alla sua schiena. «Ti
annoierò presto.»
Antonio uscì
quasi completamente da me e urlai per il bisogno di reclamarlo nella mia carne.
Si seppellì di nuovo dentro di me con un colpo vigoroso che mi fece battere i
denti, prima di ripetere il movimento.
Lacrime di
sofferenza mi bruciarono le tempie. Mi teneva sul filo di una soddisfazione delirante,
impedendomi di raggiungere l’orgasmo.
«Mai» ruggì,
mentre gli graffiavo la pelle con le unghie, abbandonandomi a una passione
selvaggia che non avevo mai conosciuto. «Sarai tu a stancarti di me.»
La spinta
successiva mi fece inarcare sul letto. «Antonio!» invocai, il piacere così
vicino da poterlo toccare con mano.
«Non
succederà» lo rassicurai. «Non succederà mai!»
Il mio grido
successivo si perse nella sua bocca, mentre i nostri corpi raggiungevano
insieme la vetta e i nostri cuori si riconoscevano.
Era mio.
Ero sua.
Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia. |
Okay, oggi fa decisamente caldo!
Spero che il quarto episodio di Sangue Amaro sia stato di vostro
gradimento.
Nelle ultime tre settimane i toni sono stati accesi, i problemi
pressanti e i conflitti dolorosi. In questo capitolo ho voluto costruire. C'era
bisogno di una pausa, c'era bisogno di dialogo.
L'intimità è stata la prima chiave utilizzata da Antonio per dare
voce a ciò che sentiva, ma poi ha dovuto iniziare a comunicare perché questa
volta Greta non sarebbe mai rimasta al suo fianco. L'ha fatto. Non è ancora
abbastanza, ma Roma non è stata costruita in un giorno.
Ho cercato di darvi più momenti di una stessa notte per farvi
vedere come si è arrivati alle dichiarazioni finali. Le parole importanti
raramente sono estemporanee, per lo più poggiano su una base di confidenza e di
condivisione.
Niente gesti eclatanti in momenti assurdi, ma tantissima
normalità.
Siamo esattamente alla metà del racconto.
Respirate a pieni polmoni e conservate la dolcezza di questa
puntata: la fine è lontana!
Questa settimana vi ho sentito molto vicine e vedere quanto vi
siete affezionate ad Antonio e Greta mi commuove profondamente. Cosa farei
senza di voi?
GRAZIE DAVVERO DI CUORE!
Spero di leggere ancora i vostri COMMENTI e
di ritrovarvi ancora qui la prossima settimana.
Vi abbraccio.
Angela
ALCUNE
CONSIDERAZIONI LINGUISTICHE:
1 - Nun chiagnere, piccerè: Non piangere, piccola.
Vi dissi già che con Antonio avrei avuto dei problemi nella
mediazione linguistica. Nella Puntata #2 sono riuscita a trovare delle
soluzioni intermedie tra il napoletano e l’italiano, scegliendo quello che in
linguistica si chiama italiano regionale di tipo campano.
In questo caso, tuttavia, l’emozione del personaggio era troppo
forte per tentare una razionalizzazione e, dopo aver pensato a una serie di
varianti, ho preferito tenere la frase in dialetto.
Perché non tradurla semplicemente?
Sì, effettivamente la frase non è complessa e non è proverbiale,
MA utilizzare in quel momento l’italiano non avrebbe reso fino in fondo il
grande disordine emotivo vissuto dal protagonista, un crollo totale di filtri
che nella realtà si traduce in un rifugio nella lingua naturale. La lingua
naturale di Antonio è il dialetto napoletano.
2 - La prima parte di questa puntata l’ho
riscritta, amputata, sistemata così tante volte da impazzire.
Era necessario.
La prima versione, quella che preferivo, era inadatta.
Creare un personaggio come Antonio mi ha messo di fronte alla
necessità di interrogarmi su quanto l’autore possa interferire con il
personaggio. Antonio ha un lessico più povero ma soprattutto una fraseologia
molto essenziale che rispecchia un pensiero lineare. Vi faccio vedere cosa
intendo.
Questa è la versione che avete letto:
Esempio 1: Se avesse smesso di respingermi avrebbe
sentito quanto ero addolorato.
Ero stato un codardo.
Esempio 2: Volevo confortare me stesso perché la stavo
perdendo e non potevo sopportarlo.
Questa è la versione originale:
Esempio 1: Se avesse smesso
di respingermi avrebbe sentito quanto ero addolorato. Avrebbe capito che aveva
vinto e che adesso mi auguravo solo di riuscire a farle dimenticare la mia
codardia.
Esempio 2: Volevo confortare
me stesso perché mi stava scivolando tra le dita e non potevo
sopportarlo.
Concettualmente cambia poco, ma nel primo caso parla Antonio, nel
secondo ero io ad attribuirgli dei periodi articolati in maniera troppo complessa
per essere aderenti a un personaggio che è pensa in modo molto più puntuale ed
essenziale.
Esempi del genere ce ne sono tanti. Sappiate solo che ho dovuto
scegliere tra l’autocompiacimento per delle belle frasi e l’attinenza alla
realtà.
Ho scelto l’attinenza alla realtà e non me ne pento!
«Non voglio qualcosa di bello. Voglio qualcosa di vero.»
RispondiEliminaSangue Amaro è beIIo (proprio tanto) e vero.
Stupenderrima!
RispondiEliminaBrava Angela!
Cara Angela, le tue puntate una meglio dell'altra e come hai affermato oggi c'è proprio tanto caldo.....wow...puntata super, Antonio e Greta sono davvero unici.....ora però sono triste. Mi tocca aspettare un'altra settimana per poter assaporare la quinta puntata😘😘😘
RispondiEliminaUna bellissima puntata, una pausa penso dai problemi che sorgeranno sicuramente, perché purtroppo l'amore non basta. Ma è una storia davvero molto bella e non si può che fare il tifo per questi due giovani così diversi che si amano, ma insieme sono più forti e penso che nonostante tutto ce la possano fare. Antonio è un uomo davvero speciale.
RispondiEliminaSempre più emozionante bellissimo !!!!
RispondiEliminaSpendido!! Ho riletto le 4 puntate tutte assieme.. emozionante!! Certo, oggi fa caldissimo:-)... e la lacrimuccia è scesa anche a me: bravissima!!!
RispondiEliminamolto,molto vero...bravissima!
RispondiEliminaBello,bello e ancora bello!! Continua così perché la storia mi piace davvero tanto..Grazie e complimenti tesoro...
RispondiEliminaRosa D.M
Prima di tutto "Nun chiagnere, piccerè" è poesia, è una frase che raccoglie amore, passione, protezione. Poi Antonio mi piace da morire, poiché ha un lessico povero, è un personaggio che "si sente", è tutto emozioni.
RispondiEliminaMa mo devo aspettare sabato prossimo! Uffa
Stupendo Angela ... mi sembra di vivere la storia leggendo.. Antonio e suoi silenzi ti trasmette tutto il suo dolore e alle difficoltà ad aprirsi ...
RispondiEliminaBravissima un bacione da Rosi
Come al Solito:BRAVA!!!!
RispondiEliminaCommovente, intensa, passionale... questa puntata è stata unica. Davvero.
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