sabato 2 luglio 2016

SANGUE AMARO: Puntata #5




(Nell'indice potrete trovare il link alle Puntate #1, #2, #3 e #4)

PUNTATA #5


«Mettete giù i palloncini!» gridai, anche se sapevo che nulla avrebbe potuto fermare i quindici teppisti di cui mi occupavo da una settimana.
Tutti armati fino ai denti di gavettoni.
A chi era venuta in mente quell’idea?
Le mie labbra si piegarono in una smorfia. La prossima volta li avrei fatti giocare a mosca cieca.
«Prendetela!» ordinò Maria, una bambina del campo Rom di via Cupa Perillo.
Provai a indirizzarle uno sguardo di rimprovero, ma non ne fui capace.
Mi scappava da ridere, ma la cosa più importante era che loro si divertivano.
«Smettetela!» ritentai, ma non mi aspettavo di muoverli a compassione.
Ero finita.
Mi coprii il viso con un braccio e mi ripiegai in una posa difensiva.
Il primo palloncino si ruppe ai miei piedi, sporcandomi le caviglie di acqua e terriccio.
Nonostante la volontà di stare ferma, non riuscii a evitare di saltellare producendomi in un urletto stridulo.
«Ora bas…» La seconda bomba d’acqua raggiunse il mio sedere.
Spalancai gli occhi, oltraggiata, e mi raddrizzai. «Questa me la pagate!» promisi e iniziai a rompere le fila di quei baby criminali, inseguendoli.
Sede associazione Celus.
I bambini proruppero in una risata gioiosa, ricordandomi un coro di campanelle. Sporchi e sudati nei loro pantaloncini neri e nelle T-shirt arancioni dell’associazione Celus, incarnavano tutto ciò per cui io e gli altri volontari lottavamo. La loro felicità era il premio per le lunghe e calde giornate di giugno trascorse sui campi sportivi dell’associazione.
Mentre i ragazzini si disperdevano, rimbalzando a destra e a sinistra del campo come schegge impazzite, vidi Gabriele muoversi lentamente alla periferia del mio campo visivo.
Feci finta di non notarlo, ma dentro di me avvertii un moto d’orgoglio.
C’erano molti motivi per adorarlo, e nessuno riguardava Antonio.
Gabriele era intelligente, riflessivo, e davvero molto furbo.
Mi dedicai ai suoi compagni, che iniziarono a lanciare i palloncini nel tentativo di rallentarmi.
Era guerra aperta.
«Domani non ci sarà nessun torneo di pallavolo per voi» minacciai, ma fui ignorata, addirittura derisa.
Avevo perso autorevolezza. Mi avevano in pugno, e andava bene così.
Il volontariato per i campi estivi organizzati a Scampia non era un lavoro.
Il compenso monetario era simbolico, ma il valore personale? La sera rientravo a casa distrutta e soddisfatta come mai mi era capitato.
«Maria, attenta!» urlai temendo che, nella foga di sfuggirmi, la bambina potesse cadere.
Fu allora che l'ultimo palloncino calò su di me.
Mi prese alla sprovvista, al punto che mi immobilizzai, i sensi pronti a captare il pericolo.
Mentre l'acqua scendeva in rivoli dai miei capelli, scivolando sulle spalle e incollandomi la maglietta al torso, mi guardai intorno finché non trovai il colpevole.
Campo sportivo Associazione Celus.
Gabriele, incurante del divertimento dei compagni, era scappato sui gradoni e aveva atteso che io passassi di lì per sorprendermi dall’alto.
Anche se avevo previsto una rappresaglia, non credevo fosse così ben congegnata.
Incontrai i suoi occhi, scuri e grandi come quelli di Antonio, e rabbrividii.
Nelle ultime due settimane avevo frequentato assiduamente casa sua e, nonostante i miei timori, non aveva mostrato gelosia o possessività. Sembrava addirittura contento di avermi tra i piedi.
Ma erano altri comportamenti a impensierirmi.
L'avevo coinvolto nel campo estivo organizzato dalle Suore della Provvidenza per evitare ad Antonio le spese di una struttura privata e avevo avuto modo di osservarlo. Nemmeno fuori dall'ambito scolastico riusciva a legare con i coetanei.
Era annoiato da loro e, quando si prestava agli intrattenimenti organizzati da noi operatrici, non cercava di imporsi sugli altri: aspettava che sbagliassero. Solo quando gli chiedevano aiuto, si degnava di concederlo.
Ora mi guardava con un sorrisetto compiaciuto.
Mi aveva giocato.
«Scendi» dissi solamente. Non volevo sgridarlo, non si era comportato male.
Il successo del suo piano rintuzzò l’attacco degli altri.
«No!» piagnucolai. Mi abbassai in posa difensiva, mentre i bambini si dedicavano a svuotarmi sulla testa il contenuto dei loro ordigni di gomma.
Sollevai il capo quando sentii una risata più profonda unirsi alla loro.
«Non ti ci mettere anche tu!» urlai ad Antonio, il viso rosso per la vergogna.
Questa non ci voleva.
Mi alzai lentamente, indicando ai bambini di andare a recuperare i loro zainetti. Per oggi avevamo finito. Anche Gabriele li seguì, ignorando il fratello. In pubblico, si comportava sempre così, salvo poi arrampicarsi sulle sue spalle appena rimanevamo soli.
Ludoteca gestita dalle Suore della Provvidenza.
Infine, ricambiai il sorriso di Antonio con un’occhiataccia.
«Sei in anticipo» lo accusai, cercando di non pensare a come dovevo apparirgli bagnata da capo a piedi e sporca di polvere.
Si avvicinò a me e, sì, il suo sorriso se possibile si allargò ancora di più, spazzando via il mio imbarazzo e il disappunto.
«Sentivi caldo?» mi prese in giro.
Scossi la testa, sollevando una corona di goccioline.
Ora ero io quella che si esprimeva a monosillabi in sua presenza.
Quando l’avevo visto l’ultima volta? Undici, forse dodici ore prima, eppure non ero preparata alla morsa che mi contraeva lo stomaco quando incrociavo il suo sguardo.
«Bagnerò i sedili della macchina» dissi, concentrandomi su quello stupido particolare per evitare di saltargli addosso davanti ai bambini e alle altre volontarie.
Antonio sollevò una mano e mi scostò una ciocca appiccicata alla guancia.
Non trattenni un gemito.
«Vieni da me» mi comunicò.
Ora non sorrideva più.
Il modo in cui mi guardava, studiava il mio volto… una donna poteva diventarne dipendente.
Io lo ero.
«Avrò bisogno di una doccia» lo provocai, ben sapendo che il sottinteso avrebbe intensificato la sua frustrazione. E la mia.
Non volevamo accelerare i tempi con Gabriele, quindi le occasioni per stare da soli erano inesistenti.
Io non dormivo da lui e Antonio doveva preoccuparsi del fratello.
Per ora.
«Coraggiosa» mormorò Antonio, aprendo il palmo sulla mia guancia. «Solo perché non posso punirti.»
Il mio respiro accelerò.
Non era il momento di ricordare quanto peccaminosi potessero essere i suoi castighi.
Mi ritrassi, certa che i miei occhi comunicassero più di quanto fosse dignitoso mostrare in quel momento.
Non avevo mai provato un tale desiderio prima di conoscerlo.
«Andiamo.»
Antonio annuì e si avviò verso l’uscita.
Gabriele, tenutosi in disparte fino a quel momento, lo raggiunse al cancello.
Andai a recuperare la mia borsa dei giochi.
L’associazione forniva il materiale, ma quando potevo contribuivo con qualche idea diversa.
Come i palloncini.
Mi staccai la maglietta dalla pelle, ma vi aderì di nuovo.
Quella non era stata una buona idea.
Raggiunsi i miei ragazzi sulla strada e mi trattenni per osservare i genitori prelevare i figli.
Campo Rom di Scampia.
Non tutti. I bambini Rom si spostavano da soli, formando una fila disordinata sul marciapiede di via Ghisleri.
Il campo Rom non era lontano. Li conoscevo abbastanza da sapere che badavano a se stessi meglio di quanto riuscissi a fare io alla mia età. Tuttavia l’apprensione mi chiuse la gola.
«Li seguiamo con la macchina.»
Mi voltai verso Antonio, il cuore gonfio di gratitudine.
Repressi il desiderio di saltargli al collo e mi limitai ad annuire, commossa.
Gli presi la mano e intrecciai le dita alle sue.
Gabriele non diede segno di impazienza. Bene.
«La porto io» disse, invece, indicandomi di consegnargli la mia borsa.
Gli sorrisi e gliela allungai. Ero fiera del mio ometto. O almeno della sua versione cavalleresca, quella che mostrava solo in privato.
Ci incamminammo verso la macchina. Avevo lasciato la Lancia alle Vele. La mia presenza era tollerata dai De Lucia e potevo stare tranquilla.
Dopotutto, durante l’anno avevo seguito i figli di un paio di affiliati.
«Davvero bagnerò i sedili» ripetei, quando raggiungemmo la Fiesta.
«La facciamo sedere nel bagagliaio?» propose Gabriele. «Come i cacciuttielli»
Scoppiai a ridere, anche se avrei dovuto sentirmi indignata.
Antonio spalancò gli occhi, accrescendo la mia ilarità.
Non credeva alle sue orecchie.
«Greta non è un cane!»
Il piccolo iniziò a sghignazzare. «Lo so» disse tra le risate, il fiato corto.
Si piegò in due, per dare enfasi alla sua farsa. «Volevo vedere che faccia facevi
Antonio sollevò trenta chili di scugnizzo insieme alla mia borsa, girandolo in modo da tenerlo a testa in giù.
«Facevi?» lo riprese, mentre il bimbo strillava e agitava le braccia.
«Avresti fatto!» si corresse Gabriele. «Mettimi giù!» urlò poi.
Ero incapace di aiutarlo, a stento riuscivo a respirare.
Avevo la faccia rigata dalle lacrime.
«Chiedi scusa a Greta» continuò Antonio ma, nonostante il tono severo, sorrideva. Gli brillavano gli occhi.
Era felice.
Glielo leggevo sul viso ogni volta che io e Gabriele eravamo con lui. Riuscivamo a distrarlo dagli incontri con gli assistenti sociali e dai conti che non quadravano. Se non avesse avuto il fratello di cui prendersi cura, si sarebbe ammazzato di straordinari.
«Stavo scherzando!» gridò Gabriele.
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Riuscii a riprendermi abbastanza da piegarmi per afferrarlo sotto le ascelle. Antonio allentò la presa e il piccolo si rifugiò tra le mie braccia.
«Lo so» dissi mentre si aggrappava a me, trafelato.
Gabriele mi sollevò le ciocche di capelli, pesanti per l’umidità, e me le fece ricadere ai lati del volto.
«Sei fresca fresca» disse, per nulla turbato dal fatto che lo stessi bagnando. Forse perché era stato lui a ridurmi in quello stato.
«Entrate in macchina. Avete bisogno di una doccia» affermò Antonio, sollevando la mia borsa da terra.
Lo vidi scuotere la testa mentre si sistemava alla guida. Io e Gabriele prendemmo posto e subito Antonio accese lo stereo.
Seguimmo gli altri bambini fino al campo Rom e, anche se non tutti erano rientrati, proseguimmo verso casa. Non potevamo fare di più.
D’altronde accertarmi che ritornassero tra le lamiere e i pannelli di legno delle loro abitazioni rassicurava me, non serviva a migliorare le loro condizioni di vita.
«Nelle Vele c’è spazio» affermai, sovrappensiero. Gli appartamenti disabitati del complesso non erano in condizioni migliori, ma almeno non sarebbero volati via con il vento.
«Non li farebbero entrare. Rovinano la piazza» mi spiegò Antonio, capendomi al volo.
Aveva ragione. Conducevano uno stile di vita che non si accordava con la tranquillità che era richiesta nei pressi di una piazza di spaccio.
«Non sono santi» mi ricordò, temendo che la mia sensibilità mi impedisse di valutare la realtà dei fatti.
«Hai ragione» concordai. La xenofobia non c’entrava con quel discorso. Erano per cultura e abitudini sociali difficili da inserire in programmi di integrazione, ma si poteva fare. C’erano molte associazioni sul territorio che si occupavano dei loro bambini, almeno quante si occupavano dei ragazzini di Scampia.
Arrivammo a casa e Gabriele subito si rifugiò in bagno per farsi una doccia. Antonio si innervosì, ma lo fermai prima che si lanciasse in una ramanzina.
«Ci sono trenta gradi, non mi ammalerò per un po’ d’acqua» lo rassicurai.
Antonio sospirò. «Gli ospiti vengono prima.»
Gli sorrisi e gli appoggiai le mani sul petto. «Non avete mai avuto ospiti» gli ricordai. Erano così soli. «Una donna per casa e il fratello fidanzato? È tanto da digerire. Lascia che si abitui, poi penseremo all’educazione.»
Antonio mi guardò negli occhi, frugando nella mia testa alla ricerca di risposte a domande che non conoscevo. Mi alzai sulle punte e lo baciai velocemente.
«Ferma.»
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Mi afferrò per la nuca e mi tenne il viso a pochi centimetri dal suo. «Se non la smetti, sarò costretto a chiuderti in casa mia.»
«Cosa ho fatto?» mormorai sulle sue labbra. Strinsi la sua maglietta tra le dita, mentre un languore indicativo mi avvinceva. Il desiderio che reprimevo da settimane mi indeboliva al punto da costringermi ad aggrapparmi a lui.
«Rispondi sempre alle mie aspettative» ammise Antonio. «E lasciarti tornare nel tuo appartamento diventa ogni giorno più difficile.»
Chiusi gli occhi e sporsi il mento, nell’attesa di un bacio che mi avrebbe fatto innamorare ancora un po’ di più.
Ero pazza di lui.
Schiusi le labbra e…
«Io ho finito!»
Mi ritrassi così velocemente da andare a sbattere contro una sedia.
«Ahi!» esclamai, mentre cercavo di calmare i battiti.
Antonio sogghignava. Gabriele uscì dal bagno vestito solo dei boxer bianchi. Lanciai uno sguardo al suo culetto che scompariva nella cameretta.
«Esibizionista» commentai provando a sorridere, anche se non ne avevo motivo. Non capivo come ci riuscisse Antonio. L’erezione che gli tendeva i jeans non doveva essere per nulla piacevole.
«Ti prendo gli asciugamani» mi disse, allontanandosi.
Recuperai il cambio dalla borsa. Ero previdente e, anche se non mi sarei aspettata un tale ammutinamento, avevo immaginato che con i gavettoni si sarebbe messa male per me.
Raggiunsi il piccolo bagno e mi fermai sulla porta per osservare Antonio riporre gli indumenti sporchi di Gabriele nella cesta.
La versione casalinga del mio cattivo ragazzo.
Se solo avesse saputo quanto lo trovavo eccitante!
«Posso?» domandai, entrando nel bagno e chiudendo la porta.
Antonio si voltò verso di me.
Dovetti addossarmi al piano per non cadere.
Il cuore iniziò a battermi come un tamburo.
«Non dovresti guardarmi in questo modo» protestai. Mi si avvicinò e si premette su di me. Posò le labbra sul mio collo e leccò una gocciolina d’acqua. Inclinai il capo all’indietro per dargli un accesso migliore.
«Come ti guardo?» mi chiese, mentre mi sfilava la T-shirt bagnata.
Sollevai le braccia per aiutarlo. Rabbrividii quando il suo respiro soffiò sulla mia pelle umida.
«Come se fossi la donna più attraente del mondo.»
I suoi occhi mi inchiodarono.
L’intensità del suo desiderio mi trapassò il cuore come una lama.
Non potevo più resistere.
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Lo afferrai per le spalle e lo baciai.
La sua lingua si intrecciò alla mia e io tremai. Le sue mani mi stringevano le cosce. Dovetti appellarmi al briciolo di controllo che ancora mi rimaneva per impedirmi di dondolare i fianchi contro i suoi.
Quando il bisogno di respirare diventò una necessità, appoggiò la fronte alla mia e prese fiato.
«Lo sei.»
La sua voce era così roca che a stento compresi le parole.
Inspirai senza fretta mentre gli accarezzavo la nuca, poi alzai la testa per baciargli il naso.
«Credo che dovresti uscire. Subito» gli suggerii. Pochi secondi e l’avrei pregato di prendermi contro il muro.
Non ero mai stata spregiudicata, ma l’attrazione unita all’astinenza forzata… non ero più padrona di me stessa.
Antonio si staccò da me. Si prese un minuto per guardarmi, nuda dalla cintola in su e bagnata.
Respirava in modo affrettato e le mie labbra si piegarono in una smorfia dispiaciuta quando si aggiustò la patta.
«Greta…»
Lasciò la frase in sospeso, ma non era difficile intuire i suoi pensieri.
I miei brividi furono la risposta alla passione che non riusciva a esprimere, ma che potevo leggere in ogni rigida linea del suo volto.
«Fuori» gemetti.
Antonio mi afferrò per il collo e mi stampò un bacio brutale a labbra chiuse.
Era una promessa.
Lo spinsi con entrambi i palmi e lui uscì dal bagno, lasciandomi a una doccia fredda e corroborante.
Non c’era niente di più efficace per schiarire le idee di una donna innamorata.
Entrai in cucina in pantaloncini e canotta. Gabriele era stravaccato sul divano e faceva zapping, Antonio ispezionava il frigo.
Mi frizionai i capelli con l’asciugamano. Li avrei fatti asciugare all’aria.
Me ne sarei pentita al primo starnuto.
«Cosa si mangia?» chiesi incuriosita.
Antonio mi guardò da sopra l’anta del frigorifero e il suo sguardo si fermò sulle mie gambe nude.
Con un sorriso di scuse appoggiai il telo su una sedia e lo raggiunsi per guardare il contenuto del frigo.
Mi mise una mano sul fianco, mentre esaminavo i ripiani.
Bastardo provocatore.
«Carne in padella e bruschette?» propose.
Se non avesse smesso di tracciare il bordo dei miei pantaloncini, avrei mangiato le sue dita.
«Per me va bene. Gabriele?» domandai.
«Okay» rispose, gli occhi fissi sul televisore. Sembrava distratto ma non lo era. Con un colpo dei fianchi allontanai le mani di Antonio dalla mia pancia, poi chiusi l’anta.
«Gabriele, mi aiuti a tagliare il pane?»
Il bambino scattò in piedi e mi raggiunse vicino al tavolo. Scostò una sedia e vi si arrampicò.
Sorrisi indulgente. Era bravo a fingersi disinteressato, ma non mi fregava.
Voleva essere considerato. Antonio lo aveva abituato a collaborare in casa e Gabriele si sentiva lusingato quando era richiesto il suo aiuto.
«Sai cucinare?» mi chiese, quando iniziai ad affettare il pane.
«Poco, ma sono imbattibile con i dolci» assicurai.
«Forse io e Antonio ti possiamo impara… insegnare?»
Sorrisi e gli scompigliai i capelli teneramente.
«Tesoro, non ti farò morire di fame» lo tranquillizzai, intimamente commossa da quella frase. Pensare a un futuro in cui ero coinvolta era un segno di accettazione.
Gabriele mi osservò, stringendo le palpebre, l’espressione concentrata. Imitava Antonio in tutto. Atteggiava anche la bocca nello stesso modo. Prima di vedere i due fratelli al di fuori dell’ambito scolastico, gli atteggiamenti del bambino mi avevano impensierito parecchio. Ora li comprendevo, ma le cose dovevano cambiare.
«Greta è bella» dichiarò, concluso il suo esame.
Non trattenni una risata e mi preparai ad ascoltare altro.
Nutrivo dubbi sulla bontà del complimento. Doveva avere in mente qualcosa.
«Rosaria dice che è proprio una signora e che tu sei fortunato» riferì Gabriele, riportando le parole della vicina di casa.
Antonio armeggiava con la padella. Gli davo le spalle e non potevo vederlo, ma capii le intenzioni del piccolo teppista.
Voleva provocare il fratello.
«La signora Rosaria ha ragione.»
Il mio cuore perse un battito e mi concentrai sul tagliare la fetta successiva con più attenzione. Il pericolo di tagliarmi era in costante aumento.
«Anche io sono fortunata» sussurrai.
Gabriele mi sentì e si appoggiò a me, premendosi sul mio fianco.
«Si capisce, è mio fratello» affermò in sostegno alle mie parole. L’orgoglio impregnava ogni nota della sua voce infantile.
Che il bambino lo considerasse un eroe era comprensibile.
Io la pensavo esattamente come lui.
«Mi prendi i pomodori e l’olio, per favore?» gli chiesi, per distrarlo da una conversazione che poteva diventare imbarazzante.
Finimmo di preparare le bruschette, apparecchiammo la tavola e ci sedemmo sul divano in attesa che la carne fosse pronta.
Approfittai del momento di quiete per controllare la posta sul cellulare.
Avevo sentito il telefono squillare ma, quando ero con Antonio e Gabriele, dimenticavo l’esistenza di un mondo al di fuori delle Vele che reclamava le mie attenzioni.
Mi irrigidii notando l’indirizzo mail del CGM di Torino.
Aprii il messaggio e scorsi velocemente il testo.
Bloccai la schermata dello smartphone come se il messaggio ricevuto fosse qualcosa di cui vergognarmi.
Non lo era.
Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi. I miei pensieri correvano in mille direzioni e non riuscivo a focalizzarmi sulla comunicazione che attendevo da mesi. Avevano visionato il mio curriculum e accettato la mia richiesta di lavorare presso il centro di prima accoglienza per minori.
Avrei lavorato in un carcere minorile.
Quando avevo seguito il consiglio di mio padre, non avevo molte speranze di ottenere una risposta.
Strinsi le dita intorno al telefono.
Avrei dovuto essere felice, e una parte di me era euforica, ma l’apprensione mi stava schiacciando il petto.
Lanciai un’occhiata ad Antonio e Gabriele, affaccendati vicino il piano cottura, e il malessere aumentò.
Il mio lavoro, le mie ambizioni, le mie speranze, erano tutte in quel messaggio arrivato al momento sbagliato.
Avevo una settimana per mettermi in contatto con la struttura.
Cosa dovevo fare?
«È pronto» mi avvisò Gabriele.
Mi spostai in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, ma non mi alzai.
Il mio umore era cambiato nello spazio di un secondo e dovevo racimolare un po’ di forza per avvicinarmi alla tavola.
Nella vita non ero stata abituata a temporeggiare, a rimandare le decisioni.
In passato, però, sul piatto della bilancia non c’era mai stato così tanto da perdere e poco da guadagnare.
Dieci anni. Il mio percorso di studi non era stato semplice e nemmeno breve. La relazione con Antonio durava da cinque minuti, eppure il pensiero di rinunciarvi mi spezzava il cuore.
«Greta?»
Mi voltai verso Antonio. Cercai i suoi occhi, sperando che i miei non mostrassero l’angoscia che mi serrava lo stomaco.
Lui mi sorrise, invitandomi a raggiungerli.
Per quanto tempo non aveva sorriso?, mi chiesi.
All’improvviso fu tutto semplice.
Sicuramente avrei avuto un rimpianto, ma potevo sopportare un po’ di rammarico e la frustrazione per dei lavori meno qualificati. Il dolore per aver lasciato Antonio e Gabriele? Quello mi avrebbe distrutto.
Mi sarei presa qualche giorno per venire a patti con le mie aspirazioni e contattare la struttura, ma la sostanza della mia risoluzione non sarebbe cambiata.
Fu per questo che mi alzai e mi sedetti a tavola. Strinsi la mano di Antonio sopra il tavolo e allungai l’altra verso Gabriele.
Mentre il bambino ripeteva la preghiera che gli avevano insegnato al catechismo, osservai i due uomini che in poche settimane avevano cambiato la mia vita e mi si inumidirono gli occhi.
«Tutto okay?» mi chiese Antonio, quando si accorse del mio turbamento.
Confermai con un cenno del capo, la gola mi faceva male.
Antonio mi accarezzò una guancia e mi baciò. Uno sfioramento lieve delle labbra. Non l’aveva mai fatto alla presenza del fratello.
Gabriele salutò il gesto con una risata trionfante e un “lo sapevo” soddisfatto.
Abbassai la testa con un sorriso timido e mi concentrai sulla cena.
Avevo scelto bene.


***


«Ti lascio la lampada accesa.»
Gabriele annuì e si sistemò il lenzuolo sulle spalle.
«Domenica andiamo al mare?» mi chiese, la voce assonnata.
Quella sera non avevo dovuto lottare per staccare mio fratello dal televisore. Greta lo sfiniva al campo estivo e alle dieci crollava senza proteste.
Un altro dei motivi per cui avrei dovuto ringraziarla.
«Sì» confermai.
Gabriele si voltò su un fianco e premette il viso sul cuscino.
«Viene pure Greta?»
La voce era smorzata dal tessuto e non riuscii a capire se era infastidito o solo curioso.
«Ti farebbe piacere?» chiesi. Di solito non avevo bisogno di farlo, le mie decisioni erano legge e Gabriele non si era mai lamentato.
«Non le piace essere bagnata. Anche se fa finta di divertirsi.»
Complesso residenziale Le Vele di Scampia.
Trattenni una risata. Non gli sfuggiva nulla.
Compresi la sua risposta, ma avevo bisogno che fosse chiaro.
«Ti farebbe piacere?» ripetei ancora.
Ora capivo perché Greta sbuffava quando mi faceva domande su argomenti per cui avevo già preso una decisione.
Gabriele mi somigliava troppo.
«Sì, così posso schizzarla con l’acqua.»
Sospirai e gli baciai la fronte prima di alzarmi. «Buonanotte.»
Mi rispose un borbottio indistinto.
Mio fratello era andato.
Dovevo avvisare Greta dei piani di Gabriele?
Sorrisi e mi diressi in cucina. Afferrai la bottiglia d’acqua e bevvi con avidità, svuotandola.
Con la coda dell’occhio notai sul tavolo un elastico per capelli.
Greta l’aveva dimenticato.
Me lo infilai al polso. Non era il primo trofeo che raccoglievo.
Avevo conservato i tre biglietti del film che eravamo andati a vedere al cinema con Gabriele il sabato prima, un regalo trovato nel suo Happy Meal e qualche altra sciocchezza del genere.
Mi aveva trasformato in una ragazzina. E anche in un incosciente.
La volevo vicina, nel mio letto ogni notte.
Come potevo chiederle di trasferirsi alle Vele?
Da Posillipo a Scampia.
Probabilmente era l’unica donna abbastanza folle da accettare.
Dopotutto, aveva scelto me.
Dei rumori attrassero la mia attenzione.
Mi avvicinai al balcone della cucina, quello che dava sulla piazza di spaccio.
C’era del movimento.
I drogati stavano iniziando a disperdersi.
Scostai la tendina e mi accorsi delle prime volanti. Le sirene erano state disattivate, solo le luci lampeggianti erano accese.
Chiusi i battenti, mentre lo stridio delle ruote dei motorini che partivano sgommando riempiva il quartiere.
Nel silenzio della notte, le urla dei pali risuonavano come delle dannate trombe.
Non era la prima volta che c’era una retata.
Non sarebbero riusciti a smantellare la piazza. Dieci giorni, al massimo, e le attività di spaccio sarebbero riprese.
Al momento, però, il mio settore era in fermento.
Andai a chiudere la porta della cameretta di Gabriele, per evitare che i rumori lo svegliassero, e ringraziai che Greta non si fosse trattenuta quella sera.
Sentii i cancelli sbattere sui pianerottoli. Li stavano chiudendo per non far passare i poliziotti.
I ragazzi della piazza già stavano salendo nelle Vele.
Tra poco sarebbero arrivati gli agenti.
Sulle balconate interne si levò un coro di “Fuje allà”, “Chiuritv aìnt”, “Stann saglienn”.
Vele, interno.
Il primo spacciatore passò davanti casa mia, ma non si fermò. Continuò a correre.
Mi addossai alla parete del corridoio, i sensi in allerta.
Avevo i pugni stretti ed ero così arrabbiato.
Dovevo andarmene da lì.
La casa popolare mi costava solo trenta euro, ma non valeva il pericolo a cui esponevo Gabriele. Dovevo trovare una soluzione, anche se non ero sicuro di riuscire a pagare un affitto maggiore.
Tra l’avvocato da liquidare per la causa di affidamento, le spese per i prodotti senza lattosio di Gabriele, la macchina da scontare… Dio, era un casino!
Il primo pugno contro la porta mi fece sussultare.
Mi costrinsi a rimanere calmo e non mi mossi.
I colpi si fecero più forti e ravvicinati.
Dovevo aprire.
«O’ derì, pigliet stu pacc» urlò Genny, quando schiusi l’uscio. Mi appellò con il soprannome che mi avevano dato da bambino. Il dritto, l’uomo con la testa sulle spalle.
Guardai il pacco di cocaina, il cuore mi batteva nelle orecchie escludendo il frastuono infernale che proveniva dall’esterno.
Gli occhi di Genny O’ Sicculill erano allucinati, per la paura e per le strisce di coca sniffate prima di attaccare il turno alla piazza.
Avevamo frequentato la scuola media insieme.
«Fa ambress, stann saglienn!» urlò.
Dovevo nascondere il panetto. Era un ordine.
Potevo acconsentire o rifiutare.
Se avessi declinato, i De Lucia me l’avrebbero fatta pagare.
Se avessi accettato, la coscienza non mi avrebbe dato pace.
Dovevo pensare a Gabriele.




Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia.
 


 

Buongiorno lettori!
In questa puntata c'è tanto. Avrei voluto parlare di più del lavoro delle associazioni e dei campi Rom, ma lascio alle note i nomi e i link da seguire in caso vogliate qualche altra informazione.
Sangue Amaro, come sapete, è un progetto che vuole esplorare una realtà, quella di Scampia, attraverso i suoi figli, Antonio e Gabriele, e grazie al punto di vista di chi ha imparato ad amarla, Greta.
Come vi ho spesso ripetuto, Scampia è degrado, criminalità, ma anche bellezza e solidarietà. Spero che questa puntata vi sia piaciuta e vi abbia fatto apprezzare il lavoro dei tanti operatori che cercano di riqualificare il territorio e dare un futuro ai bambini.
Mai come in questo momento sono orgogliosa di dire SCAMPIA È ANCHE QUESTO!
La storia ora entra nel vivo dei suoi rapporti con il territorio, con le scelte imposte dal contesto. Sarà sicuramente più oscura, ma spero che mi seguirete ugualmente nelle ultime tre puntate (siamo alla fine!)
Vi ringrazio ancora per la vostra attenzione e fiducia.
Spero di leggere i vostri COMMENTI all'articolo e di ritrovarvi ancora qui la prossima settimana.

Vi abbraccio.
Angela




NOTE:

* Associazione Celus, onlus  operante sul territorio di Scampia  Napoli dal 1989 a  titolo di volontariato a favore dei bambini a rischio e le famiglie in difficoltà.

** Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene, istituto religioso fondato nel 1837.
Si occupano di accoglienza e l'educazione dell’infanzia, educazione della gioventù, servizio agli ammalati e agli anziani, catechesi.
A Scampia è loro l’iniziativa “Il giardino dei mille colori”.

*** Il giardino dei mille colori, ludoteca dell' associazione Celus gestita dalle suore della Provvidenza nel quartiere di Scampia. È un centro ricreativo, educativo, sociale e culturale che opera per realizzare una migliore qualità della vita infantile. A disposizione dei più piccoli vi è anche un campetto sportivo.

**** Associazione Arrevotammece, si occupa dell’integrazione e l’alfabetizzazione di bambini e adulti Rom.

***** Vele di Scampia, complesso di abitazioni a uso residenziali a forma di vele romane. Tra il 1997 e il 2003 sono state abbattute tre delle sette Vele. Si presentano in stato di degrado.

****** Piazza di spaccio, palazzi, androni, sottoscala utilizzati per la vendita di droga, in cui i portoni vengono sostituiti con blindati senza chiave bloccati all'interno con staffe di ferro.

******* Funzionamento di una piazza di spaccio. Reportage a cura de Il Mattino di Napoli.



******** SCAMPIA 24, un giorno con la polizia a caccia di spacciatori e vedette (di Marco Piscitelli – Il Mattino).
Video finalista al premio Ilaria Alpi 2013.




ALCUNE CONSIDERAZIONI LINGUISTICHE:
Mi sono impegnata a trovare un’alternativa valida all’utilizzo del napoletano, ma questa volta non c’era possibilità di mediazione.
Uno spacciatore di Scampia, qualora riuscisse a esprimersi in italiano, lo farebbe in modo regionalmente e localmente marcato, con una sintassi e un lessico che renderebbero difficile l’interpretazione delle frasi.
Avrei dovuto inserire ugualmente delle note.
Per questo motivo, dal momento che devo comunque darvi delle delucidazioni, preferisco non snaturare personaggi e contesto.

Cacciuttiello, cane di piccole dimensioni.

Fuje allà, Scappa da quella parte.

Chiuritv aìnt, Chiudetevi dentro (casa).

Stann saglienn, Stanno salendo.

O’ derì, pigliet stu pacc, Dritto (nel testo Antonio), prendi questo pacco. Il dritto è un soprannome, indica l’uomo retto, che riga dritto.

 O’ Sicculill, il magro. Il magro è un soprannome, indica un ragazzo di costituzione esile.

Fa ambress, stann saglienn!, Fai presto, stanno salendo (gli agenti di polizia).





9 commenti:

  1. Non posso dire che mi stia piacendo il modo in cui si mettono le cose, ma immaginavo che sarebbe saltato fuori qualcosa che avrebbe potuto minare il loro rapporto spero solo che sia una cosa passeggera e che finisca tutto bene.

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  2. Wowwww BELLISSIMA PUNTATA 😍 😍 😍 😍

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  3. Che dire ...stupendo mi piacciono molto i particolari e le verità che purtroppo metti in evidenza Scampia e proprio così!!! Brava

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  4. Sempre più strepitoso, e le immagini tra le righe sono a dir poco bellissime, quella di Gabriele mi ha emozionato tantissimo e il finale di questa puntata mi ha messo ansia. Brava Angela.

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  5. Oh ! Che guaio nn ci voleva ..e ora chi resiste fino a sabato!
    Stupendo Angela grazie x farci conoscere un pezzetto della tua Napoli
    un bacione da rosi

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  6. Preferivo un sacchetto di taralli alla droga. Dobbiamo aspettare sabato! 😭Angela non fare la cattiva però! Non essere spietata con il mio bel Antonio

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  7. Bellissima puntata!😊 mi piace vedere l evoluzione della storia fra Greta Antonio e del piccolo Gabriele. .amo Antonio srmpre più! Na questo finale mi ha messo ansia..spero non mandi all aria la loro storia..le frasi in dialetto le avevo capite..belle le immagini e le note che metti in fondo..continua così! Bravissima!😍😘😘

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