PUNTATA #5
«Mettete giù
i palloncini!» gridai, anche se sapevo che nulla avrebbe potuto fermare i
quindici teppisti di cui mi occupavo da una settimana.
Tutti armati
fino ai denti di gavettoni.
A chi era
venuta in mente quell’idea?
Le mie
labbra si piegarono in una smorfia. La prossima volta li avrei fatti giocare a
mosca cieca.
«Prendetela!»
ordinò Maria, una bambina del campo Rom di via Cupa Perillo.
Provai a
indirizzarle uno sguardo di rimprovero, ma non ne fui capace.
Mi scappava
da ridere, ma la cosa più importante era che loro si divertivano.
«Smettetela!»
ritentai, ma non mi aspettavo di muoverli a compassione.
Ero finita.
Mi coprii il
viso con un braccio e mi ripiegai in una posa difensiva.
Il primo
palloncino si ruppe ai miei piedi, sporcandomi le caviglie di acqua e
terriccio.
Nonostante
la volontà di stare ferma, non riuscii a evitare di saltellare producendomi in
un urletto stridulo.
«Ora bas…» La
seconda bomba d’acqua raggiunse il mio sedere.
Spalancai
gli occhi, oltraggiata, e mi raddrizzai. «Questa me la pagate!» promisi e
iniziai a rompere le fila di quei baby criminali, inseguendoli.
Sede associazione Celus. |
I bambini proruppero
in una risata gioiosa, ricordandomi un coro di campanelle. Sporchi e sudati nei
loro pantaloncini neri e nelle T-shirt arancioni dell’associazione Celus, incarnavano
tutto ciò per cui io e gli altri volontari lottavamo. La loro felicità era il
premio per le lunghe e calde giornate di giugno trascorse sui campi sportivi dell’associazione.
Mentre i
ragazzini si disperdevano, rimbalzando a destra e a sinistra del campo come
schegge impazzite, vidi Gabriele muoversi lentamente alla periferia del mio
campo visivo.
Feci finta
di non notarlo, ma dentro di me avvertii un moto d’orgoglio.
C’erano
molti motivi per adorarlo, e nessuno riguardava Antonio.
Gabriele era
intelligente, riflessivo, e davvero molto furbo.
Mi dedicai
ai suoi compagni, che iniziarono a lanciare i palloncini nel tentativo di
rallentarmi.
Era guerra
aperta.
«Domani non
ci sarà nessun torneo di pallavolo per voi» minacciai, ma fui ignorata,
addirittura derisa.
Avevo perso
autorevolezza. Mi avevano in pugno, e andava bene così.
Il
volontariato per i campi estivi organizzati a Scampia non era un lavoro.
Il compenso
monetario era simbolico, ma il valore personale? La sera rientravo a casa
distrutta e soddisfatta come mai mi era capitato.
«Maria, attenta!»
urlai temendo che, nella foga di sfuggirmi, la bambina potesse cadere.
Fu allora
che l'ultimo palloncino calò su di me.
Mi prese
alla sprovvista, al punto che mi immobilizzai, i sensi pronti a captare il
pericolo.
Mentre
l'acqua scendeva in rivoli dai miei capelli, scivolando sulle spalle e
incollandomi la maglietta al torso, mi guardai intorno finché non trovai il colpevole.
Campo sportivo Associazione Celus. |
Anche se
avevo previsto una rappresaglia, non credevo fosse così ben congegnata.
Incontrai i
suoi occhi, scuri e grandi come quelli di Antonio, e rabbrividii.
Nelle ultime
due settimane avevo frequentato assiduamente casa sua e, nonostante i miei
timori, non aveva mostrato gelosia o possessività. Sembrava addirittura
contento di avermi tra i piedi.
Ma erano
altri comportamenti a impensierirmi.
L'avevo
coinvolto nel campo estivo organizzato dalle Suore della Provvidenza per
evitare ad Antonio le spese di una struttura privata e avevo avuto modo di
osservarlo. Nemmeno fuori dall'ambito scolastico riusciva a legare con i
coetanei.
Era annoiato
da loro e, quando si prestava agli intrattenimenti organizzati da noi
operatrici, non cercava di imporsi sugli altri: aspettava che sbagliassero.
Solo quando gli chiedevano aiuto, si degnava di concederlo.
Ora mi
guardava con un sorrisetto compiaciuto.
Mi aveva
giocato.
«Scendi»
dissi solamente. Non volevo sgridarlo, non si era comportato male.
Il successo
del suo piano rintuzzò l’attacco degli altri.
«No!»
piagnucolai. Mi abbassai in posa difensiva, mentre i bambini si dedicavano a
svuotarmi sulla testa il contenuto dei loro ordigni di gomma.
Sollevai il capo
quando sentii una risata più profonda unirsi alla loro.
«Non ti ci
mettere anche tu!» urlai ad Antonio, il viso rosso per la vergogna.
Questa non
ci voleva.
Mi alzai
lentamente, indicando ai bambini di andare a recuperare i loro zainetti. Per
oggi avevamo finito. Anche Gabriele li seguì, ignorando il fratello. In
pubblico, si comportava sempre così, salvo poi arrampicarsi sulle sue spalle
appena rimanevamo soli.
Ludoteca gestita dalle Suore della Provvidenza. |
Infine,
ricambiai il sorriso di Antonio con un’occhiataccia.
«Sei in
anticipo» lo accusai, cercando di non pensare a come dovevo apparirgli bagnata
da capo a piedi e sporca di polvere.
Si avvicinò
a me e, sì, il suo sorriso se possibile si allargò ancora di più, spazzando via
il mio imbarazzo e il disappunto.
«Sentivi
caldo?» mi prese in giro.
Scossi la
testa, sollevando una corona di goccioline.
Ora ero io
quella che si esprimeva a monosillabi in sua presenza.
Quando l’avevo
visto l’ultima volta? Undici, forse dodici ore prima, eppure non ero preparata
alla morsa che mi contraeva lo stomaco quando
incrociavo il suo sguardo.
«Bagnerò i
sedili della macchina» dissi, concentrandomi su quello stupido particolare per
evitare di saltargli addosso davanti ai bambini e alle altre volontarie.
Antonio
sollevò una mano e mi scostò una ciocca appiccicata alla guancia.
Non
trattenni un gemito.
«Vieni da
me» mi comunicò.
Ora non
sorrideva più.
Il modo in
cui mi guardava, studiava il mio volto… una donna poteva diventarne dipendente.
Io lo ero.
«Avrò
bisogno di una doccia» lo provocai, ben sapendo che il sottinteso avrebbe intensificato
la sua frustrazione. E la mia.
Non volevamo
accelerare i tempi con Gabriele, quindi le occasioni per stare da soli erano inesistenti.
Io non
dormivo da lui e Antonio doveva preoccuparsi del fratello.
Per ora.
«Coraggiosa»
mormorò Antonio, aprendo il palmo sulla mia guancia. «Solo perché non posso
punirti.»
Il mio
respiro accelerò.
Non era il
momento di ricordare quanto peccaminosi potessero essere i suoi castighi.
Mi ritrassi,
certa che i miei occhi comunicassero più di quanto fosse dignitoso mostrare in
quel momento.
Non avevo
mai provato un tale desiderio prima di conoscerlo.
«Andiamo.»
Antonio
annuì e si avviò verso l’uscita.
Gabriele,
tenutosi in disparte fino a quel momento, lo raggiunse al cancello.
Andai a recuperare
la mia borsa dei giochi.
L’associazione
forniva il materiale, ma quando potevo contribuivo con qualche idea diversa.
Come i
palloncini.
Mi staccai
la maglietta dalla pelle, ma vi aderì di nuovo.
Quella non
era stata una buona idea.
Raggiunsi i
miei ragazzi sulla strada e mi trattenni per osservare i genitori prelevare i
figli.
Campo Rom di Scampia. |
Il campo Rom
non era lontano. Li conoscevo abbastanza da sapere che badavano a se stessi
meglio di quanto riuscissi a fare io alla mia età. Tuttavia l’apprensione mi
chiuse la gola.
«Li seguiamo
con la macchina.»
Mi voltai
verso Antonio, il cuore gonfio di gratitudine.
Repressi il
desiderio di saltargli al collo e mi limitai ad annuire, commossa.
Gli presi la
mano e intrecciai le dita alle sue.
Gabriele non
diede segno di impazienza. Bene.
«La porto
io» disse, invece, indicandomi di consegnargli la mia borsa.
Gli sorrisi
e gliela allungai. Ero fiera del mio ometto. O almeno della sua versione
cavalleresca, quella che mostrava solo in privato.
Ci
incamminammo verso la macchina. Avevo lasciato la Lancia alle Vele. La mia
presenza era tollerata dai De Lucia e potevo stare tranquilla.
Dopotutto,
durante l’anno avevo seguito i figli di un paio di affiliati.
«Davvero
bagnerò i sedili» ripetei, quando raggiungemmo la Fiesta.
«La facciamo
sedere nel bagagliaio?» propose Gabriele. «Come i cacciuttielli»
Scoppiai a
ridere, anche se avrei dovuto sentirmi indignata.
Antonio
spalancò gli occhi, accrescendo la mia ilarità.
Non credeva
alle sue orecchie.
«Greta non è
un cane!»
Il piccolo
iniziò a sghignazzare. «Lo so» disse tra le risate, il fiato corto.
Si piegò in
due, per dare enfasi alla sua farsa. «Volevo vedere che faccia facevi.»
Antonio
sollevò trenta chili di scugnizzo insieme alla mia borsa, girandolo in modo da
tenerlo a testa in giù.
«Facevi?» lo
riprese, mentre il bimbo strillava e agitava le braccia.
«Avresti
fatto!» si corresse Gabriele. «Mettimi giù!» urlò poi.
Ero incapace
di aiutarlo, a stento riuscivo a respirare.
Avevo la
faccia rigata dalle lacrime.
«Chiedi scusa
a Greta» continuò Antonio ma, nonostante il tono severo, sorrideva. Gli
brillavano gli occhi.
Era felice.
Glielo
leggevo sul viso ogni volta che io e Gabriele eravamo con lui. Riuscivamo a
distrarlo dagli incontri con gli assistenti sociali e dai conti che non
quadravano. Se non avesse avuto il fratello di cui prendersi cura, si sarebbe
ammazzato di straordinari.
«Stavo
scherzando!» gridò Gabriele.
Banner a cura di Giorgia Golfetto. Immagini dal web. |
«Lo so»
dissi mentre si aggrappava a me, trafelato.
Gabriele mi
sollevò le ciocche di capelli, pesanti per l’umidità, e me le fece ricadere ai
lati del volto.
«Sei fresca
fresca» disse, per nulla turbato dal fatto che lo stessi bagnando. Forse perché
era stato lui a ridurmi in quello stato.
«Entrate in
macchina. Avete bisogno di una doccia» affermò Antonio, sollevando la mia borsa
da terra.
Lo vidi
scuotere la testa mentre si sistemava alla guida. Io e Gabriele prendemmo posto
e subito Antonio accese lo stereo.
Seguimmo gli
altri bambini fino al campo Rom e, anche se non tutti erano rientrati,
proseguimmo verso casa. Non potevamo fare di più.
D’altronde
accertarmi che ritornassero tra le lamiere e i pannelli di legno delle loro
abitazioni rassicurava me, non serviva a migliorare le loro condizioni di vita.
«Nelle Vele
c’è spazio» affermai, sovrappensiero. Gli appartamenti disabitati del complesso
non erano in condizioni migliori, ma almeno non sarebbero volati via con il
vento.
«Non li
farebbero entrare. Rovinano la piazza» mi spiegò Antonio, capendomi al volo.
Aveva
ragione. Conducevano uno stile di vita che non si accordava con la tranquillità
che era richiesta nei pressi di una piazza di spaccio.
«Non sono
santi» mi ricordò, temendo che la mia sensibilità mi impedisse di valutare la
realtà dei fatti.
«Hai
ragione» concordai. La xenofobia non c’entrava con quel discorso. Erano per
cultura e abitudini sociali difficili da inserire in programmi di integrazione,
ma si poteva fare. C’erano molte associazioni sul territorio che si occupavano
dei loro bambini, almeno quante si occupavano dei ragazzini di Scampia.
Arrivammo a
casa e Gabriele subito si rifugiò in bagno per farsi una doccia. Antonio si
innervosì, ma lo fermai prima che si lanciasse in una ramanzina.
«Ci sono
trenta gradi, non mi ammalerò per un po’ d’acqua» lo rassicurai.
Antonio
sospirò. «Gli ospiti vengono prima.»
Gli sorrisi
e gli appoggiai le mani sul petto. «Non avete mai avuto ospiti» gli ricordai. Erano
così soli. «Una donna per casa e il fratello fidanzato? È tanto da digerire.
Lascia che si abitui, poi penseremo all’educazione.»
Antonio mi
guardò negli occhi, frugando nella mia testa alla ricerca di risposte a domande
che non conoscevo. Mi alzai sulle punte e lo baciai velocemente.
«Ferma.»
Modello: Tobias Sorensen. Banner a cura di Sarah Rocchia. |
«Cosa ho
fatto?» mormorai sulle sue labbra. Strinsi la sua maglietta tra le dita, mentre
un languore indicativo mi avvinceva. Il desiderio che reprimevo da settimane mi
indeboliva al punto da costringermi ad aggrapparmi a lui.
«Rispondi
sempre alle mie aspettative» ammise Antonio. «E lasciarti tornare nel tuo
appartamento diventa ogni giorno più difficile.»
Chiusi gli
occhi e sporsi il mento, nell’attesa di un bacio che mi avrebbe fatto
innamorare ancora un po’ di più.
Ero pazza di
lui.
Schiusi le
labbra e…
«Io ho
finito!»
Mi ritrassi
così velocemente da andare a sbattere contro una sedia.
«Ahi!»
esclamai, mentre cercavo di calmare i battiti.
Antonio sogghignava.
Gabriele uscì dal bagno vestito solo dei boxer bianchi. Lanciai uno sguardo al
suo culetto che scompariva nella cameretta.
«Esibizionista»
commentai provando a sorridere, anche se non ne avevo motivo. Non capivo come
ci riuscisse Antonio. L’erezione che gli tendeva i jeans non doveva essere per
nulla piacevole.
«Ti prendo
gli asciugamani» mi disse, allontanandosi.
Recuperai il
cambio dalla borsa. Ero previdente e, anche se non mi sarei aspettata un tale ammutinamento,
avevo immaginato che con i gavettoni si sarebbe messa male per me.
Raggiunsi il
piccolo bagno e mi fermai sulla porta per osservare Antonio riporre gli
indumenti sporchi di Gabriele nella cesta.
La versione
casalinga del mio cattivo ragazzo.
Se solo
avesse saputo quanto lo trovavo eccitante!
«Posso?»
domandai, entrando nel bagno e chiudendo la porta.
Antonio si
voltò verso di me.
Dovetti
addossarmi al piano per non cadere.
Il cuore
iniziò a battermi come un tamburo.
«Non
dovresti guardarmi in questo modo» protestai. Mi si avvicinò e si premette su
di me. Posò le labbra sul mio collo e leccò una gocciolina d’acqua. Inclinai il
capo all’indietro per dargli un accesso migliore.
«Come ti
guardo?» mi chiese, mentre mi sfilava la T-shirt bagnata.
Sollevai le
braccia per aiutarlo. Rabbrividii quando il suo respiro soffiò sulla mia pelle
umida.
«Come se
fossi la donna più attraente del mondo.»
I suoi occhi
mi inchiodarono.
L’intensità del
suo desiderio mi trapassò il cuore come una lama.
Non potevo
più resistere.
La sua
lingua si intrecciò alla mia e io tremai. Le sue mani mi stringevano le cosce.
Dovetti appellarmi al briciolo di controllo che ancora mi rimaneva per
impedirmi di dondolare i fianchi contro i suoi.
Quando il
bisogno di respirare diventò una necessità, appoggiò la fronte alla mia e prese
fiato.
«Lo sei.»
La sua voce
era così roca che a stento compresi le parole.
Inspirai
senza fretta mentre gli accarezzavo la nuca, poi alzai la testa per baciargli
il naso.
«Credo che
dovresti uscire. Subito» gli suggerii. Pochi secondi e l’avrei pregato di
prendermi contro il muro.
Non ero mai
stata spregiudicata, ma l’attrazione unita all’astinenza forzata… non ero più
padrona di me stessa.
Antonio si
staccò da me. Si prese un minuto per guardarmi, nuda dalla cintola in su e bagnata.
Respirava in
modo affrettato e le mie labbra si piegarono in una smorfia dispiaciuta quando
si aggiustò la patta.
«Greta…»
Lasciò la
frase in sospeso, ma non era difficile intuire i suoi pensieri.
I miei brividi
furono la risposta alla passione che non riusciva a esprimere, ma che potevo
leggere in ogni rigida linea del suo volto.
«Fuori»
gemetti.
Antonio mi
afferrò per il collo e mi stampò un bacio brutale a labbra chiuse.
Era una
promessa.
Lo spinsi
con entrambi i palmi e lui uscì dal bagno, lasciandomi a una doccia fredda e
corroborante.
Non c’era
niente di più efficace per schiarire le idee di una donna innamorata.
Entrai in
cucina in pantaloncini e canotta. Gabriele era stravaccato sul divano e faceva
zapping, Antonio ispezionava il frigo.
Mi frizionai
i capelli con l’asciugamano. Li avrei fatti asciugare all’aria.
Me ne sarei
pentita al primo starnuto.
«Cosa si
mangia?» chiesi incuriosita.
Antonio mi
guardò da sopra l’anta del frigorifero e il suo sguardo si fermò sulle mie
gambe nude.
Con un
sorriso di scuse appoggiai il telo su una sedia e lo raggiunsi per guardare il
contenuto del frigo.
Mi mise una
mano sul fianco, mentre esaminavo i ripiani.
Bastardo
provocatore.
«Carne in
padella e bruschette?» propose.
Se non
avesse smesso di tracciare il bordo dei miei pantaloncini, avrei mangiato le
sue dita.
«Per me va bene.
Gabriele?» domandai.
«Okay»
rispose, gli occhi fissi sul televisore. Sembrava distratto ma non lo era. Con
un colpo dei fianchi allontanai le mani di Antonio dalla mia pancia, poi chiusi
l’anta.
«Gabriele,
mi aiuti a tagliare il pane?»
Sorrisi
indulgente. Era bravo a fingersi disinteressato, ma non mi fregava.
Voleva
essere considerato. Antonio lo aveva abituato a collaborare in casa e Gabriele
si sentiva lusingato quando era richiesto il suo aiuto.
«Sai
cucinare?» mi chiese, quando iniziai ad affettare il pane.
«Poco, ma
sono imbattibile con i dolci» assicurai.
«Forse io e Antonio
ti possiamo impara… insegnare?»
Sorrisi e
gli scompigliai i capelli teneramente.
«Tesoro, non
ti farò morire di fame» lo tranquillizzai, intimamente commossa da quella
frase. Pensare a un futuro in cui ero coinvolta era un segno di accettazione.
Gabriele mi
osservò, stringendo le palpebre, l’espressione concentrata. Imitava Antonio in
tutto. Atteggiava anche la bocca nello stesso modo. Prima di vedere i due
fratelli al di fuori dell’ambito scolastico, gli atteggiamenti del bambino mi
avevano impensierito parecchio. Ora li comprendevo, ma le cose dovevano
cambiare.
«Greta è
bella» dichiarò, concluso il suo esame.
Non
trattenni una risata e mi preparai ad ascoltare altro.
Nutrivo
dubbi sulla bontà del complimento. Doveva avere in mente qualcosa.
«Rosaria
dice che è proprio una signora e che tu sei fortunato» riferì Gabriele,
riportando le parole della vicina di casa.
Antonio
armeggiava con la padella. Gli davo le spalle e non potevo vederlo, ma capii le
intenzioni del piccolo teppista.
Voleva provocare
il fratello.
«La signora Rosaria ha ragione.»
Il mio cuore
perse un battito e mi concentrai sul tagliare la fetta successiva con più
attenzione. Il pericolo di tagliarmi era in costante aumento.
«Anche io
sono fortunata» sussurrai.
Gabriele mi
sentì e si appoggiò a me, premendosi sul mio fianco.
«Si capisce,
è mio fratello» affermò in sostegno alle mie parole. L’orgoglio impregnava ogni
nota della sua voce infantile.
Che il
bambino lo considerasse un eroe era comprensibile.
Io la
pensavo esattamente come lui.
«Mi prendi i
pomodori e l’olio, per favore?» gli chiesi, per distrarlo da una conversazione
che poteva diventare imbarazzante.
Finimmo di
preparare le bruschette, apparecchiammo la tavola e ci sedemmo sul divano in
attesa che la carne fosse pronta.
Approfittai
del momento di quiete per controllare la posta sul cellulare.
Avevo
sentito il telefono squillare ma, quando ero con Antonio e Gabriele,
dimenticavo l’esistenza di un mondo al di fuori delle Vele che reclamava le mie
attenzioni.
Mi irrigidii
notando l’indirizzo mail del CGM di Torino.
Aprii il
messaggio e scorsi velocemente il testo.
Bloccai la
schermata dello smartphone come se il messaggio ricevuto fosse qualcosa di cui
vergognarmi.
Non lo era.
Mi appoggiai
allo schienale e chiusi gli occhi. I miei pensieri correvano in mille direzioni
e non riuscivo a focalizzarmi sulla comunicazione che attendevo da mesi.
Avevano visionato il mio curriculum e accettato la mia richiesta di lavorare
presso il centro di prima accoglienza per minori.
Avrei
lavorato in un carcere minorile.
Quando avevo
seguito il consiglio di mio padre, non avevo molte speranze di ottenere una
risposta.
Strinsi le
dita intorno al telefono.
Avrei dovuto
essere felice, e una parte di me era euforica, ma l’apprensione mi stava
schiacciando il petto.
Lanciai
un’occhiata ad Antonio e Gabriele, affaccendati vicino il piano cottura, e il
malessere aumentò.
Il mio
lavoro, le mie ambizioni, le mie speranze, erano tutte in quel messaggio
arrivato al momento sbagliato.
Avevo una
settimana per mettermi in contatto con la struttura.
Cosa dovevo
fare?
«È pronto»
mi avvisò Gabriele.
Mi spostai
in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, ma non mi alzai.
Il mio umore
era cambiato nello spazio di un secondo e dovevo racimolare un po’ di forza per
avvicinarmi alla tavola.
Nella vita
non ero stata abituata a temporeggiare, a rimandare le decisioni.
In passato,
però, sul piatto della bilancia non c’era mai stato così tanto da perdere e
poco da guadagnare.
Dieci anni.
Il mio percorso di studi non era stato semplice e nemmeno breve. La relazione
con Antonio durava da cinque minuti, eppure il pensiero di rinunciarvi mi
spezzava il cuore.
«Greta?»
Mi voltai
verso Antonio. Cercai i suoi occhi, sperando che i miei non mostrassero l’angoscia
che mi serrava lo stomaco.
Lui mi
sorrise, invitandomi a raggiungerli.
Per quanto
tempo non aveva sorriso?, mi chiesi.
All’improvviso
fu tutto semplice.
Sicuramente
avrei avuto un rimpianto, ma potevo sopportare un po’ di rammarico e la
frustrazione per dei lavori meno qualificati. Il dolore per aver lasciato
Antonio e Gabriele? Quello mi avrebbe distrutto.
Mi sarei
presa qualche giorno per venire a patti con le mie aspirazioni e contattare la
struttura, ma la sostanza della mia risoluzione non sarebbe cambiata.
Fu per
questo che mi alzai e mi sedetti a tavola. Strinsi la mano di Antonio sopra il
tavolo e allungai l’altra verso Gabriele.
Mentre il
bambino ripeteva la preghiera che gli avevano insegnato al catechismo, osservai
i due uomini che in poche settimane avevano cambiato la mia vita e mi si
inumidirono gli occhi.
«Tutto
okay?» mi chiese Antonio, quando si accorse del mio turbamento.
Confermai
con un cenno del capo, la gola mi faceva male.
Antonio mi
accarezzò una guancia e mi baciò. Uno sfioramento lieve delle labbra. Non
l’aveva mai fatto alla presenza del fratello.
Gabriele
salutò il gesto con una risata trionfante e un “lo sapevo” soddisfatto.
Abbassai la
testa con un sorriso timido e mi concentrai sulla cena.
Avevo scelto
bene.
***
«Ti lascio la lampada accesa.»
Gabriele
annuì e si sistemò il lenzuolo sulle spalle.
«Domenica
andiamo al mare?» mi chiese, la voce assonnata.
Quella sera
non avevo dovuto lottare per staccare mio fratello dal televisore. Greta lo
sfiniva al campo estivo e alle dieci crollava senza proteste.
Un altro dei
motivi per cui avrei dovuto ringraziarla.
«Sì»
confermai.
Gabriele si
voltò su un fianco e premette il viso sul cuscino.
«Viene pure
Greta?»
La voce era
smorzata dal tessuto e non riuscii a capire se era infastidito o solo curioso.
«Ti farebbe
piacere?» chiesi. Di solito non avevo bisogno di farlo, le mie decisioni erano
legge e Gabriele non si era mai lamentato.
«Non le
piace essere bagnata. Anche se fa finta di divertirsi.»
Compresi la
sua risposta, ma avevo bisogno che fosse chiaro.
«Ti farebbe
piacere?» ripetei ancora.
Ora capivo
perché Greta sbuffava quando mi faceva domande su argomenti per cui avevo già preso
una decisione.
Gabriele mi
somigliava troppo.
«Sì, così
posso schizzarla con l’acqua.»
Sospirai e
gli baciai la fronte prima di alzarmi. «Buonanotte.»
Mi rispose
un borbottio indistinto.
Mio fratello
era andato.
Dovevo
avvisare Greta dei piani di Gabriele?
Sorrisi e mi
diressi in cucina. Afferrai la bottiglia d’acqua e bevvi con avidità,
svuotandola.
Con la coda
dell’occhio notai sul tavolo un elastico per capelli.
Greta
l’aveva dimenticato.
Me lo
infilai al polso. Non era il primo trofeo che raccoglievo.
Avevo
conservato i tre biglietti del film che eravamo andati a vedere al cinema con
Gabriele il sabato prima, un regalo trovato nel suo Happy Meal e qualche altra
sciocchezza del genere.
Mi aveva
trasformato in una ragazzina. E anche in un incosciente.
La volevo
vicina, nel mio letto ogni notte.
Come potevo
chiederle di trasferirsi alle Vele?
Da Posillipo
a Scampia.
Probabilmente
era l’unica donna abbastanza folle da accettare.
Dopotutto,
aveva scelto me.
Dei rumori
attrassero la mia attenzione.
Mi avvicinai
al balcone della cucina, quello che dava sulla piazza di spaccio.
C’era del
movimento.
I drogati
stavano iniziando a disperdersi.
Scostai la
tendina e mi accorsi delle prime volanti. Le sirene erano state disattivate, solo
le luci lampeggianti erano accese.
Chiusi i
battenti, mentre lo stridio delle ruote dei motorini che partivano sgommando
riempiva il quartiere.
Nel silenzio
della notte, le urla dei pali risuonavano come delle dannate trombe.
Non era la
prima volta che c’era una retata.
Non
sarebbero riusciti a smantellare la piazza. Dieci giorni, al massimo, e le
attività di spaccio sarebbero riprese.
Al momento,
però, il mio settore era in fermento.
Andai a
chiudere la porta della cameretta di Gabriele, per evitare che i rumori lo
svegliassero, e ringraziai che Greta non si fosse trattenuta quella sera.
Sentii i
cancelli sbattere sui pianerottoli. Li stavano chiudendo per non far passare i
poliziotti.
I ragazzi
della piazza già stavano salendo nelle Vele.
Tra poco
sarebbero arrivati gli agenti.
Sulle
balconate interne si levò un coro di “Fuje allà”, “Chiuritv aìnt”, “Stann
saglienn”.
Mi addossai
alla parete del corridoio, i sensi in allerta.
Avevo i
pugni stretti ed ero così arrabbiato.
Dovevo
andarmene da lì.
La casa
popolare mi costava solo trenta euro, ma non valeva il pericolo a cui esponevo
Gabriele. Dovevo trovare una soluzione, anche se non ero sicuro di riuscire a
pagare un affitto maggiore.
Tra
l’avvocato da liquidare per la causa di affidamento, le spese per i prodotti
senza lattosio di Gabriele, la macchina da scontare… Dio, era un casino!
Il primo pugno
contro la porta mi fece sussultare.
Mi costrinsi
a rimanere calmo e non mi mossi.
I colpi si
fecero più forti e ravvicinati.
Dovevo
aprire.
«O’ derì, pigliet stu pacc» urlò Genny, quando
schiusi l’uscio. Mi appellò con il soprannome che mi avevano dato da bambino.
Il dritto, l’uomo con la testa sulle spalle.
Guardai il
pacco di cocaina, il cuore mi batteva nelle orecchie escludendo il frastuono
infernale che proveniva dall’esterno.
Gli occhi di
Genny O’ Sicculill erano allucinati,
per la paura e per le strisce di coca sniffate prima di attaccare il turno alla
piazza.
Avevamo
frequentato la scuola media insieme.
«Fa ambress, stann saglienn!» urlò.
Dovevo
nascondere il panetto. Era un ordine.
Potevo acconsentire
o rifiutare.
Se avessi declinato,
i De Lucia me l’avrebbero fatta pagare.
Se avessi
accettato, la coscienza non mi avrebbe dato pace.
Dovevo
pensare a Gabriele.
Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia. |
Buongiorno lettori!
In questa puntata c'è tanto. Avrei
voluto parlare di più del lavoro delle associazioni e dei campi Rom, ma lascio
alle note i nomi e i link da seguire in caso vogliate qualche altra
informazione.
Sangue Amaro, come sapete, è un
progetto che vuole esplorare una realtà, quella di Scampia, attraverso i suoi
figli, Antonio e Gabriele, e grazie al punto di vista di chi ha imparato ad
amarla, Greta.
Come vi ho spesso ripetuto, Scampia è degrado, criminalità, ma anche
bellezza e solidarietà. Spero che questa puntata vi sia piaciuta e vi abbia
fatto apprezzare il lavoro dei tanti operatori che cercano di riqualificare il
territorio e dare un futuro ai bambini.
Mai come in questo momento sono orgogliosa di dire SCAMPIA È ANCHE
QUESTO!
La storia ora entra nel vivo dei suoi rapporti con il territorio, con
le scelte imposte dal contesto. Sarà sicuramente più oscura, ma spero che mi
seguirete ugualmente nelle ultime tre puntate (siamo alla fine!)
Vi ringrazio ancora per la vostra attenzione e fiducia.
Vi ringrazio ancora per la vostra attenzione e fiducia.
Spero di leggere i vostri COMMENTI all'articolo e di
ritrovarvi ancora qui la prossima settimana.
Vi
abbraccio.
Angela
Angela
NOTE:
* Associazione Celus, onlus operante sul territorio di
Scampia Napoli dal 1989 a titolo di volontariato a favore dei bambini
a rischio e le famiglie in difficoltà.
Link---> http://www.celus.org/
** Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene, istituto
religioso fondato nel 1837.
Si occupano di accoglienza e l'educazione dell’infanzia, educazione
della gioventù, servizio agli ammalati e agli anziani, catechesi.
A Scampia è loro l’iniziativa “Il giardino dei mille colori”.
Link ---> http://www.suoredellaprovvidenza.it/it/
*** Il giardino dei mille colori, ludoteca dell' associazione
Celus gestita dalle suore della Provvidenza nel quartiere di Scampia. È un centro
ricreativo, educativo, sociale e culturale che opera per realizzare una
migliore qualità della vita infantile. A disposizione dei più piccoli vi è
anche un campetto sportivo.
Link ---> http://tinyurl.com/h9zln9z
**** Associazione Arrevotammece, si occupa dell’integrazione e l’alfabetizzazione
di bambini e adulti Rom.
Link ---> http://tinyurl.com/jfvxdu7
***** Vele di Scampia, complesso di abitazioni a uso residenziali
a forma di vele romane. Tra il 1997 e il 2003 sono state abbattute tre delle
sette Vele. Si presentano in stato di degrado.
****** Piazza di spaccio, palazzi, androni, sottoscala utilizzati
per la vendita di droga, in cui i portoni vengono sostituiti con blindati senza
chiave bloccati all'interno con staffe di ferro.
******* Funzionamento di una piazza di spaccio. Reportage a cura
de Il Mattino di Napoli.
******** SCAMPIA 24, un giorno con la polizia a caccia di
spacciatori e vedette (di Marco Piscitelli – Il Mattino).
Video finalista al premio Ilaria Alpi 2013.
ALCUNE CONSIDERAZIONI LINGUISTICHE:
Mi sono impegnata a trovare un’alternativa valida all’utilizzo del
napoletano, ma questa volta non c’era possibilità di mediazione.
Uno spacciatore di Scampia, qualora riuscisse a esprimersi in
italiano, lo farebbe in modo regionalmente e localmente marcato, con una
sintassi e un lessico che renderebbero difficile l’interpretazione delle frasi.
Avrei dovuto inserire ugualmente delle note.
Per questo motivo, dal momento che devo comunque darvi delle
delucidazioni, preferisco non snaturare personaggi e contesto.
Cacciuttiello, cane di piccole dimensioni.
Cacciuttiello, cane di piccole dimensioni.
Fuje allà, Scappa da quella parte.
Chiuritv aìnt, Chiudetevi dentro (casa).
Stann saglienn, Stanno salendo.
O’ derì, pigliet stu pacc, Dritto (nel testo Antonio), prendi questo
pacco. Il dritto è un soprannome,
indica l’uomo retto, che riga dritto.
O’ Sicculill, il magro. Il
magro è un soprannome, indica un ragazzo di costituzione esile.
Fa ambress, stann saglienn!, Fai presto, stanno salendo (gli
agenti di polizia).
Non posso dire che mi stia piacendo il modo in cui si mettono le cose, ma immaginavo che sarebbe saltato fuori qualcosa che avrebbe potuto minare il loro rapporto spero solo che sia una cosa passeggera e che finisca tutto bene.
RispondiEliminaSigh! Aspetterò trepidante
RispondiEliminaWowwww BELLISSIMA PUNTATA 😍 😍 😍 😍
RispondiEliminaoh,oh,guai in vista...
RispondiEliminaChe dire ...stupendo mi piacciono molto i particolari e le verità che purtroppo metti in evidenza Scampia e proprio così!!! Brava
RispondiEliminaSempre più strepitoso, e le immagini tra le righe sono a dir poco bellissime, quella di Gabriele mi ha emozionato tantissimo e il finale di questa puntata mi ha messo ansia. Brava Angela.
RispondiEliminaOh ! Che guaio nn ci voleva ..e ora chi resiste fino a sabato!
RispondiEliminaStupendo Angela grazie x farci conoscere un pezzetto della tua Napoli
un bacione da rosi
Preferivo un sacchetto di taralli alla droga. Dobbiamo aspettare sabato! 😭Angela non fare la cattiva però! Non essere spietata con il mio bel Antonio
RispondiEliminaBellissima puntata!😊 mi piace vedere l evoluzione della storia fra Greta Antonio e del piccolo Gabriele. .amo Antonio srmpre più! Na questo finale mi ha messo ansia..spero non mandi all aria la loro storia..le frasi in dialetto le avevo capite..belle le immagini e le note che metti in fondo..continua così! Bravissima!😍😘😘
RispondiElimina